lunedì 18 marzo 2013

Comorbidità

Questa è la storia del povero prefisso con- e i suoi fratellini co-, com-, col- e cor-. Dalla notte dei tempi vengono sfruttati come scudi dalle parole solo perché vengono fraintesi - in pratica hanno un segno in fronte che sta a indicare la loro maledizione -, vogliono sì dire "insieme", ma è solo la loro maledizione di famiglia,  non sono poi così propensi alle attività di gruppo e ogni tanto vorrebbero anche dedicarsi ad attività ludiche solitarie. Io ho appena preso uno di loro e l'ho costretto a stare di fronte ad una italianizzazione dell'aggettivo inglese morbid. Sarei da denunciare a Emergency perché sto costringendo questo nostro piccolo amico a stare con un false friend... Ebbene sì,  non solo morbid non vuol dire morbido, ma la parola stessa comorbidità non esiste, l'ho creata come solo un membro della famiglia Frankenstein potrebbe fare perché mi serviva una parola ambigua e perché quando ho letto comorbilità mi si è accesa (o fulminata) una lampadina. La comorbilità è la coestistenza di due (o più) patologie diverse in uno stesso individuo e io sono arrivata a questa parola tramite una ricerca sulla schizofrenia. Perché faccio ricerche sulla schizofrenia e poi mi fisso sulla comorbilità? Perché oggi mi sono chiesta cosa porti due persone a iscriversi su un social network con un solo profilo comune, magari unendo i nomi e/o creando crasi dei cognomi - e vi assicuro che ci troviamo ben lontani dalla tracotanza degli esseri perfetti (vedi Simposio, androgino, Aristofane). Il vero problema si pone non tanto durante l'atto della creazione, quanto durante l'uso del mezzo. Innanzitutto io persona esterna non so mai con chi sto parlando, secondariamente, come si fa quando uno dei due carica una foto e all'altro piace? E se vuole commentare? Sembra di assistere ai monologhi/dialoghi di uno schizofrenico.
Spadelliam orsù, ché oggi si prepara un pasto completo...

Ingredienti:
Per la pasta:
- 1 spicchio d'aglio
- 1/2 arancia
- 120 grammi di pasta
- 18 gamberoni
- pepe q.b.
Per l'insalata:
- 1/2 porro
- pomodorini q.b.
-1/2 arancia
Per il plum cake:
- 1 arancia
- 125 gr. di yogurt bianco
- 250 gr. di zucchero
- 45 gr. di cacao in polvere
- 335 gr. di farina
- 125 gr. di olio di semi
- 3 uova
- 1 bustina di lievito
- 3 cucchiaini di peperoncino in polvere oppure 3 cucchiaini di purea di peperoncino

Prendete una padella e mettere lo spicchio di aglio a soffriggere, appena sentite emanare profumo abbassate la fiamma e aggiungete i gamberoni/scampi, privati della coda e fatti a pezzi. Intanto mettete la pentola sul fuoco per preparare la pasta (per la cronaca, sono 120 grammi per due persone, ma voi potete mangiarne di più, lungi da me fermarvi) e sbucciate l'arancia. Metà tagliatela a pezzettini (all'incirca uno spicchio tagliato in 4) e aggiungetela ai gamberi, salate e pepate. Quando la pasta sarà al dente saltatela in padella (magari usando anche un po' dell'acqua di cottura) e servite. Piccola nota: se volete, potete aggiungere un tocco di burro - o margarina -, mentre per gli animi più impavidi si consiglia addirittura la panna. Esperimento numero uno: riuscito e consigliato.

Cosa fate con la mezza arancia rimasta? Io ho fatto mente locale: l'insalata di arancia e cipolla è un classico, il porro è quasi cipolla. L'insalata di pomodoro e cipolla è un classico, i pomodorini sono quasi pomodori e il porro, nuovamente, quasi cipolla. Pomodorini e arance...mmmh...la proprietà transitiva in cucina non funziona però magari sono fortunata. Quindi agguantate con veemenza la vostra mezza arancia - non letteralmente, sennò come minimo vi accecate -, la tagliate grossolanamente e create un'insalata con pomodorini e porro. Salate leggermente. Io vi consiglio anche di non usare l'olio, tanto c'è già l'arancia che condisce l'insalata prendendo il posto del limone. Esperimento numero due: riuscito e consigliato.


Tocca fare l'esperimento estremo: l'upgrade della torta allo yogurt. Non che ci voglia molto a migliorare uno degli impasti più semplici della storia, ma qui stiamo giocando da duri. Livello hardcore. No, di più, livello gabber. Mescolate in una ciotola lo yogurt, lo zucchero e le uova. Unite anche la farina setacciata, il cacao amaro e l'olio. Accendete il forno a 180°, sbucciate l'arancia e coprite i bordi dello stampo come più vi piace (o secondo la vostra abilità) - se lo stampo non è al silicone vi consiglio di foderare la teglia con la carta forno, in maniera tale da evitare ulteriori imburramenti e infarinamenti di mani. Adesso unite il lievito, mescolate e aggiungete il peperoncino in polvere. Io non ce l'avevo e ho usato una salsa piccante/purea di peperoncino - il mondo di internet consiglia 2 o 3 cucchiaini di peperoncino in polvere e io ho usato 3 cucchiaini di questa salsa piccante. Infornate per 45 minuti (circa) et voilà, ancora una volta tre sapori riescono a stare assieme senza farsi del male a vicenda. Esperimento numero tre: riuscito e consigliato. Prossima volta però preparo dei muffin, cascasse il mondo.




sabato 9 marzo 2013

Chi cita ha bisogno di fare sesso (S. Freud)


Il titolo l'ho rubato, lo ammetto, però era troppo calzante.
Il mondo di internet mi dona sempre spettacolari perle, soprattutto durante i giorni di festa comandata, dal natale a san valentino alla festa della donna. Però ci sono alcune situazioni che si ripresentano con cadenza casuale e non posso fare a meno di osservarle. Leggete questi "versi":

Soffrirò... Morirò...
Ma intanto
Solve, vento, vino, trallalà.

Miša Sapego

Chi è l'autore? Internet non riesce a essere chiaro al riguardo, la tal cosa nutre sospetti su sospetti. Nonostante tutto però, noto che questi versi si stanno spalmando gradualmente dappertutto... A prescindere dal perché una persona di buon senso vorrebbe mai usare queste tre righe per esprimere qualsiasi cosa dimori nella sua anima, la missione di oggi è cercare di capire perché la moda della citazione va a ondate. Ecco alcuni esempi:

Non mi fido molto delle statistiche, perché un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media. (Bukowski)

Esoneriamo innanzitutto chi leggeva già Bukoswki anni addietro, questa perla viene condivisa solitamente in estate, o in inverno, insomma, quando fa troppo caldo o troppo freddo ed è una bella alternativa a: ho i pinguini in salotto come status invernale o alla condivisione della foto del cruscotto con la temperatura bene in vista d'inverno (ovviamente trattata chimicamente con Instagram). Bravi, andiamo avanti ma dovete lasciare qua le vostre sigarette, il vostro liquore e anche la vostra aria da trasandati. Io so che ce la potete fare.

Il più bello dei mari / è quello che non navigammo. / Il più bello dei nostri figli / non è ancora cresciuto. / I più belli dei nostri giorni / non li abbiamo ancora vissuti. / E quello / che vorrei dirti di più bello / non te l'ho ancora detto. (Hikmet)

Tralasciando il mio gusto personale, tralasciando il fatto che ogni volta che leggo questi versi mi viene un colpo di diabete, so per certo che questa poesia viene condivisa da maschi caucasici in speranza di abbordaggio e accompagnata da un qualsiasi pezzo della colonna sonora di American Beauty, o de Il favoloso mondo di Amélie. Perché loro sono romantici, loro sono profondi. E voi, mie care fanciulle, cadete come pere cotte. E cadete perché nemmeno voi avete voglia di parlare di poesia, quindi è tutto oro.

Chi sei tu, che nel buio della notte osi inciampare nei miei più profondi pensieri? (William Shakespeare)

Disse il comodino al mignolo del piede destro all'incirca alle 2 di notte, quando non ci si può esimere dalla pipì notturna. William si rivolta nella tomba ogni volta che questa frase viene lanciata nell'etere senza alcun riguardo. Sì, va a braccetto con Hikmet, però ha un sapore più classico, più romantico... più... non lo sa nemmeno chi la usa, non ha idea di dove andarla a trovare in nessuna opera (e io ovviamente non ve lo dirò, vi attaccate) eppure, beh eppure, sospiriamo tutti in coro guardando fuori dalla finestra, seguendo il ritmo della pioggia col nostro the fumante.

Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante. (Friedrich Nietzsche)

E per chi ha letto Così parlò Zarathustra si rende conto che questa frase è una tra le più banali dell'intero testo - a meno che non la si rilegga con l'ottica di un colon irritabile. Però no, il citazionista va, indomito per la sua strada e noi lo osserviamo, la sua ombra che si allunga verso il tramonto, nella speranza che stia andando verso un burrone. Insomma, l'accesso incontrollato al sapere sta solo creando degli abomini, dei mostri a tre teste che credono di sembrare culturalmente appetibili solo perché imparano a memoria dei nomi e qualcosa che riguarda questi nomi. 
Ne ho altre conservate tutte per voi, miei prodi. Il mio indice accusatorio è infaticabile, quasi ai limiti dell'inquisizione - e questa, come citazione vuole, non se l'aspettava nessuno.


Straccetti di scaloppine e Rösti
Ingredienti:
- 500 grammi patate
- 300 grammi carne
- 1 cipolla
- 4 cucchiai yogurt
- 4 cucchiai senape
- farina qb
- pepe qb
- sale qb

Io volevo preparare delle scaloppine però quando ho aperto la confezione di carne mi sono accorta che in realtà era stata tagliata a straccetti. Non importa, lavoriamo con quello che abbiamo. Innanzitutto servono le patate per preparare il rösti, quindi le lessate con la buccia ancora indosso. Mentre le patate nuotano in pentola preparate la salsina: unite lo yogurt e la senape, amalgamate per bene e mettete la ciotola in frigo. Tornate alle patate: se avete tempo le fate raffreddare e poi le ponete in frigo per qualche ora; se, come me, avete dimenticato questo piccolo particolare, aspettate solo che si raffreddino. Mentre aspettate infarinate la carne e fatela rosolare in una padella con del burro, come fate di solito con le scaloppine. Quando gli straccetti si saranno dorati metteteli in un piatto.
Le patate dovrebbero essere maneggiabili, sbucciatele e grattugiatele con una grattugia a fori larghi. Tritate finemente la cipolla, rosolatela (a questo punto bisognerebbe anche rosolare lo speck a pezzettini ma non ne avevo, quindi ho fatto a meno) e unitela alle patate, aggiustate di sale e pepe. Prendete una padella, fate scaldare un tocchetto di burro e con l'aiuto di un cucchiaio create dei mini rösti. Schiacciate leggermente con una spatola e fate cuocere a fiamma viva senza girarli, di modo tale da formare una crosticina dorata. Quando si sarà formata la crosticina  potete girare i mini rösti e attendete nuovamente per la crosticina. Metteteli di lato e teneteli al caldo.
Ritorniamo alla padella della carne, nella quale dovrebbe essere rimasto uno strato formato da burro di cottura e farina in eccesso: aggiungete un dito di acqua e del dado, quando si sarà sciolto e avrà formato un sughetto unite nuovamente la carne per qualche minuto e fate insaporire.
Per la carne non serve altro poiché abbiamo preparato la salsa alla senape, quindi potete impiattare e servire.