From the midnight sun where the hot springs flow.
The hammer of the gods will drive our ships to new lands,
To fight the horde, singing and crying: Valhalla, I am coming!
Citare i Led Zeppelin per tre differenti ragioni:
1. sono i Led Zeppelin, quindi è cosa buona e giusta
2. questo video che guardo a intervalli regolari dal 2003
3. l'argomento di oggi, lo shock culturale.
2. questo video che guardo a intervalli regolari dal 2003
3. l'argomento di oggi, lo shock culturale.
Chiamiamo shock culturale la sensazione di disorientamento personale che si prova quando ci si trova nella posizione di immigrato a contatto con uno sconosciuto stile di vita. A contribuire possono essere fenomeni come il sovraccarico di informazioni, la barriera linguistica (legata anche alla capacità di reazione verso la nuova cultura), il gap generazionale ma soprattutto e ovviamente la nostalgia di casa. Può essere descritto attraverso quattro fasi ben distinte: viaggio di nozze, negoziazione, regolazione, e maestria.
1. luna di miele [honeymoon phase]
Durante questo - breve - periodo, le differenze tra la nuova cultura e la propria sono viste in una luce romantica; ad esempio è facile apprezzare le nuove abitudini o i nuovi ritmi di vita, leggende narrano di immigrati che amano il cibo del nuovo paese, ma siamo sicuri che nessuno di questi fosse italiano. Durante queste prime settimane si subisce il fascino della nuova cultura e si cerca l'integrazione anche attraverso lo studio degli autoctoni. [A me è successo sia in Polonia che in Norvegia, soprattutto in Polonia durante il primo mese perché le uniche cose che sapevo erano reminiscenze universitarie dall'esame di storia contemporanea, quindi fotografavo e annotavo tutto].
2. negoziazione [negotiation phase]
Dopo le prime settimane, ed entro i tre mesi - così dicono - alcuni individui soffrono di ansia a causa delle evidenti differenze tra la cultura di partenza e quella di arrivo. L'eccitazione e la voglia di integrazione iniziali lasciano il posto alla frustrazione e alla rabbia, soprattutto se alcuni atteggiamenti vengono percepiti come offensivi nei confronti della propria cultura di partenza. La differenza nella qualità degli alimenti e la barriera linguistica sono i fattori principali (soprattutto se si parla di italiani all'estero: un lamento continuo). [Anche qui, mi è successo in misura maggiore in Polonia; nulla di offensivo verso la mia cultura, semplicemente non ero pronta a non avere un'estate per come ero abituata e ho provato molta frustrazione nell'impossibilità di imparare la lingua. In Norvegia invece la frustrazione era dovuta alla mancanza di lavoro].
3. regolazione [adjustment phase]
Fase successiva, dai 6 a 12 mesi, nella quale ci si è abituati alla nuova cultura e si sviluppa una sorta di nuova routine. Le abitudini e le reazioni che ci aspettiamo dal mondo esterno diventano normali e si inizia ad accettare la nuova cultura in modo positivo, in teoria si dovrebbe anche essere capaci di usare la lingua del luogo. Questa è la fase chiave in quanto è possibile osservare tre reazioni distinte: alcune persone trovano impossibile accettare e integrarsi nella cultura straniera, che percepiscono ostile, quindi si ritirano e si ghettizzano (ejector); altri si integrano pienamente perdendo la loro identità originaria e spesso rimangono nel nuovo Paese (adopter); per ultimi troviamo chi si adatta agli aspetti che trova positivi nella nuova cultura pur mantenendo alcune delle vecchie abitudini, di solito non hanno problemi quando tornano a casa né a trasferirsi altrove (cosmopolitan). [La prima reazione mi è capitata in maniera maggiore in Polonia: dopo 7 mesi non riuscivo ancora a usare la loro lingua ma avevo accettato la possibilità di cenare verso le 16:00 - ogni tanto - e di sostituire la classica colazione all'italiana con cose come: uovo sodo, senape, wurstel, pane imburrato e prosciutto, il tutto affogato nel caffellatte. Amore totale verso la loro cucina e la birra con sciroppo di lampone. Qui in Norvegia è differente: cenare ogni giorno tra le 16:00 e massimo le 17:30 mi sta uccidendo lentamente, vedere cuocere la pasta senza sale e soprattutto non condita perché tanto si condisce nel piatto - con conseguente abbandono di pasta cotta in pentola per almeno cinque minuti, crea deboli ischemie al mio cervello tricolore; ma soprattutto non capirò mai perché, invece di bollire le patate in acqua fredda preferiscono coprirle di acqua bollente, bollita nel bollitore, con la convinzione di risparmiare energia. Per il resto posso dire di aver accettato ogni altro tipo di uso e costume, voglio imparare a sferruzzare e anche a pescare, cose da matti. Ancora non passo le domeniche camminando come una forsennata e non capisco perché sia necessario tutto questo burro e ogni tipo di salsina per cucinare - mi viene da dire per coprire i sapori, ma vabbè, del resto sono qui da circa 7 mesi, il mio metabolismo deve ancora adattarsi].
4. padronanza [mastery phase]
Questa fase è anche definita come del "biculturalismo", ci si è integrati nel nuovo Paese pur mantenendo le proprie peculiarità (come ad esempio non curare troppo l'accento nella nuova lingua e sembrare comunque italiani che scimmiottano) e lo shock culturale potrebbe avvenire una volta tornati nel proprio Paese d'origine.[Ovviamente in Polonia non sarei mai arrivata oltre la terza fase perché non era un posto che sentivo come mio o dove avrei mai potuto pensare di mettere radici; in Norvegia per me è ancora presto per analizzare questa fase, anche se molti mi hanno detto che parlo quel poco norvegese che socon un forte accento tedesco, quindi non capisco bene chi subirà il maggiore shock culturale. Ma, ahimè, non ci posso fare nulla, è il norvegese che gli somiglia e il tedesco è una lingua totalizzante].
3. regolazione [adjustment phase]
Fase successiva, dai 6 a 12 mesi, nella quale ci si è abituati alla nuova cultura e si sviluppa una sorta di nuova routine. Le abitudini e le reazioni che ci aspettiamo dal mondo esterno diventano normali e si inizia ad accettare la nuova cultura in modo positivo, in teoria si dovrebbe anche essere capaci di usare la lingua del luogo. Questa è la fase chiave in quanto è possibile osservare tre reazioni distinte: alcune persone trovano impossibile accettare e integrarsi nella cultura straniera, che percepiscono ostile, quindi si ritirano e si ghettizzano (ejector); altri si integrano pienamente perdendo la loro identità originaria e spesso rimangono nel nuovo Paese (adopter); per ultimi troviamo chi si adatta agli aspetti che trova positivi nella nuova cultura pur mantenendo alcune delle vecchie abitudini, di solito non hanno problemi quando tornano a casa né a trasferirsi altrove (cosmopolitan). [La prima reazione mi è capitata in maniera maggiore in Polonia: dopo 7 mesi non riuscivo ancora a usare la loro lingua ma avevo accettato la possibilità di cenare verso le 16:00 - ogni tanto - e di sostituire la classica colazione all'italiana con cose come: uovo sodo, senape, wurstel, pane imburrato e prosciutto, il tutto affogato nel caffellatte. Amore totale verso la loro cucina e la birra con sciroppo di lampone. Qui in Norvegia è differente: cenare ogni giorno tra le 16:00 e massimo le 17:30 mi sta uccidendo lentamente, vedere cuocere la pasta senza sale e soprattutto non condita perché tanto si condisce nel piatto - con conseguente abbandono di pasta cotta in pentola per almeno cinque minuti, crea deboli ischemie al mio cervello tricolore; ma soprattutto non capirò mai perché, invece di bollire le patate in acqua fredda preferiscono coprirle di acqua bollente, bollita nel bollitore, con la convinzione di risparmiare energia. Per il resto posso dire di aver accettato ogni altro tipo di uso e costume, voglio imparare a sferruzzare e anche a pescare, cose da matti. Ancora non passo le domeniche camminando come una forsennata e non capisco perché sia necessario tutto questo burro e ogni tipo di salsina per cucinare - mi viene da dire per coprire i sapori, ma vabbè, del resto sono qui da circa 7 mesi, il mio metabolismo deve ancora adattarsi].
4. padronanza [mastery phase]
Questa fase è anche definita come del "biculturalismo", ci si è integrati nel nuovo Paese pur mantenendo le proprie peculiarità (come ad esempio non curare troppo l'accento nella nuova lingua e sembrare comunque italiani che scimmiottano) e lo shock culturale potrebbe avvenire una volta tornati nel proprio Paese d'origine.[Ovviamente in Polonia non sarei mai arrivata oltre la terza fase perché non era un posto che sentivo come mio o dove avrei mai potuto pensare di mettere radici; in Norvegia per me è ancora presto per analizzare questa fase, anche se molti mi hanno detto che parlo quel poco norvegese che socon un forte accento tedesco, quindi non capisco bene chi subirà il maggiore shock culturale. Ma, ahimè, non ci posso fare nulla, è il norvegese che gli somiglia e il tedesco è una lingua totalizzante].
Focaccia
Ingredienti:
- 300 ml di acqua
- 150 grammi di olio d'oliva
- 8 grammi di sale
- 3.5 grammi di lievito in polvere (o 12 grammi di lievito di birra)
- 1 cucchiaino di zucchero
- 250 grammi di farina 00
- 250 grammi di farina integrale
- 3-4 cucchiai di acqua
La ricetta si sviluppa in due fasi: nella prima si prepara la generica pasta per il pane, nella seconda la si trasforma nella focaccia. Innanzitutto voglio fare quella che se la tira tantissimo dicendo che invece di impastare a mano ho usato un'impastatrice, shame on me? [cantare seguendo questa melodia].
Come prima cosa io devo avvisarvi riguardo i tempi di preparazione: servono 4 ore tra l'impasto, la lievitazione e la cottura, quindi se non avete 4 ore da dedicare alla focaccia vi prego di lasciare la stanza. Stavo dicendo, prepariamo la pasta per il pane: mettete a scaldare l'acqua e intanto setacciate le due farine nella ciotola dell'impastatrice; create una fontanella (il proverbiale buco al centro) e versateci dentro il lievito disidratato sciolto nell'acqua tiepida insieme allo zucchero. Accendete l'impastatrice, la velocità minima è sufficiente e nel resto dell'acqua tiepida sciogliete il sale, versate anche questo composto sulla farina. Unite 50 grammi di olio versandolo a filo finché non sarà terminato e lasciate che l'impastatrice lavori fino a quando non avrete un impasto compatto.
A questo punto potete prendere la vostra palla di impasto e poggiarla su un piano infarinato per massaggiarla con movimenti audaci per altri 5 minuti, tirategli le guanciotte e se vi sembrano elastiche a sufficienza potete creare nuovamente una palla che riporrete in una ciotola infarinata (infarinate per bene sennò ve ne pentirete). Coprite il tutto con la pellicola trasparente e fate lievitare almeno due ore nel forno chiuso e spento - dalla regia mi comunicano che è possibile accelerare la lievitazione accendendo la luce del forno, ma perché dobbiamo usare questi sporchi trucchetti?
La pasta avrà raddoppiato il suo volume ed è pronta per cambiare casa: trasferitela su una leccarda foderata con un foglio di carta da forno e rimettetela a lievitare per un'altra ora a forno chiuso e spento; onde evitare che l'impasto si secchi ponete un contenitore con dell'acqua sul fondo del forno.
Adesso avete un bel po' di impasto e potete trasformarlo in focaccia.
Ungete la leccarda con 4-5 cucchiai di olio e stendete la pasta lavorando con le dita (affondatele senza vergogna), usate il resto dell'olio sull'altro lato, copritela con un panno pulito e lasciatela lievitare ancora per circa 30 minuti in un posto tiepido e privo di correnti d'aria (sì, la cucina andrà benissimo).
Preriscaldate il forno a 250° e, trascorsi i 30 minuti, spruzzatela con 3 cucchiai di acqua tiepida, spargete del sale medio-grosso, il rosmarino e infornatela per 10-15 minuti, quindi tagliatela e mangiatela (se potete, con della mortadella).
Io non ero in possesso di rosmarino quindi ho usato un mix di erbe che ho trovato in cucina: pomodorini essiccati, origano, peperoncino, basilico, aglio e sale.
Del resto, non avendo utilizzato farina 00 e farina di manitoba come nella ricetta originale, non potevo certo aspettarmi il rosmarino. In ogni caso essendo la prima focaccia della mia vita posso dire che sia venuta molto buona (ovviamente la cosa ha suscitato la classica battuta "ah ma pensavo fossi italiana" alla quale ho risposto "sì, infatti io compro la focaccia al panificio" ma anche "quindi in quanto norvegese vai in giro con patate e salmone in tasca?"). Gli amabili resti della focaccia sono stati utilizzati - tagliati in opportuni cubetti - nella zuppa al posto dei crostini.
Bellissima l'analisi dello straniero trapiantato (o quasi) in terra altrui. Non saprei dire a che fase sono arrivata io, anche perché la mia permanenza è stata molto breve, con l'Erasmus, in Irlanda. Avendo avuto due esperienze in due paesi così diversi, per diverso tempo, hai anche potuto vedere meglio le difficoltà nell'uno e nell'altro posto.
RispondiEliminaApprovo incondizionatamente la citazione dei Led Zeppelin, band che conosco ancora troppo superficialmente, ma che ogni volta mi riserva sorprese non indifferenti. Ah, sorvolo sull'accenno al Valhalla, sempre nei Led Zeppelin, perché potrei intasarti il post di commenti entusiastici sulla mitologia norrena, su quanto mi sia entrata dentro, ecc. ecc., perché potrei rischiare di annoiare anche il pc.
Ehm, sulla pasta bollita senza sale e poi condita nel piatto...condivido la stessa tendenza all'ischemia. Anch'io la cucino senza sale (ho scoperto che mi piace di più), ma mi faccio tagliare un braccio prima di aggiungerlo nel piatto. La faccio saltare con il sugo appositamente preparato a parte (sì, persino con un po' di sale), ma è tutt'altra cosa.
sai come si dice, paese che vai, pasta scotta che trovi :D
RispondiEliminami sento pronta ad analizzare l'ultima fase, visto che sono a casa per qualche giorno e inizio seriamente ad avere problemi con gli autoctoni :P