lunedì 16 novembre 2015

Suffissi

Che differenza passa tra un suffisso deavverbiale (-ismo > deriva da) e un suffisso nominale deverbale (-azione > indica l'atto che deriva dal verbo)?
La stessa che - guarda caso - passa tra integralismo e integrazione.

No, niente pippotti sulla Fallaci, sui migranti, sugli attentati.
Non ne ho voglia e non ne ho gli strumenti.

La mia polemica nasce piuttosto da fatti osservati nella vita comune: italiani immigrati a tavola con autoctoni del paese dove si sono trasferiti.
Innanzitutto ci tengo a sottolineare che preferisco usare la parola "immigrato" rispetto a "espatriato", perché, se non lo sapete, di solito noi europei caucasici figli dell'occidente (pleonasmi, lo so, ma volevo tanto evidenziare la cosa) quando lasciamo la nostra patria e ci trasferiamo altrove, preferiamo chiamarci "espatriati"; probabilmente immigrato suona male alle nostre orecchie caucasiche anche perché gli immigrati mica siamo noi. No.
Ci sono gli altri immigrati, quelli più olivastri, meno occidentali, di minore radice cristiana.
Non vorrete mica confondere noi europei figli della democrazia di matrice greca con il resto del mondo, vero?
Sarebbe vergognoso. Sarebbe scandaloso.
Invece no, siamo immigrati come tutti gli altri - l'unica differenza è che noi non possiamo chiedere asilo (anche se dopo il titolo di Libero sui fatti di Parigi ritengo debba essere mio diritto il poter richiedere asilo). 

Dicevo, italiani immigrati. Italiani immigrati a tavola. Mi tornano in mente le nozioni imparate per un esame di geografia riguardante il multiculturalismo soft e hard; tra i vari esempi di multuculturalismo soft c'era ad esempio la voglia di mangiare kebab senza preoccuparsi di andare a frugare nelle radici culturali del popolo che porta il kebab: in altre parole una sorta di fascinazione verso l'esotico e apertura verso un mix di culture ma non apertura tale da mettere in discussione le nostre tradizioni e aggiustare di conseguenza diritti e doveri del portatore sano di kebab.
L'italiano una volta trasferito, se da un lato ci tiene tanto a voler condividere e spargere la sua conoscenza ed esperienza culinaria nel mondo - e si aspetta apertura mentale dal ricevente - dall'altro lato è testardo come un mulo.
Ci sono cascata anche io, che credete. Riesco ad accettare la mancanza del pranzo, la colazione salata e l'insalata come contorno della pasta/lasagna nello stesso piatto, ma spesso è capitato di chiedermi "cosa cucino a fare se poi...":

- preparo un risotto e poi ci metti su la sweet chili sauce
- preparo le bruschette e vi adagi sopra l'hamburger e mangi tutto assieme
- preparo un risotto al brie e mi chiedi dove sia la carne
- preparo un risotto come contorno alle scaloppine ai funghi e tu posizioni la scaloppina sul riso

Inizio a pensare che il problema sia il concetto di risotto.
Dal canto mio non ho avuto grossi problemi di integrazione, ho anzi ampliato le mie prospettive, però di fronte a determinate cose anche io mi blocco, costruisco un muro e dico no. Ho mangiato messicano usando la zucchina al posto della carne e sfumandola col succo di ananas, ho mangiato pasta cotta nel latte, ho trovato ananas sulla pizza, nel cibo indiano ma mai nei dolci o nei gelati, però ditemi voi se mangiare le crêpes dolci per cena, con o senza bacon ma sicuramente con zucchero o marmellata, sia una cosa normale.

Arancini
Ingredienti:
- avanzi di risotto
- pangrattato
- 1 uovo
- formaggio 
Ammetto di aver preparato apposta più risotto del dovuto ma non avevo premeditato la preparazione degli arancini. Di solito preparo in abbondanza così da poter avere del cibo per la pausa al lavoro il giorno dopo, solo che stavolta ho calcolato male i tempi ed avendo un giorno libero ho dovuto riutilizzare il riso in maniera tale che il norgico non si lamentasse (a quanto pare è illegale mangiare due giorni di fila lo stesso piatto).
Accendete il forno a 180°, così mentre giocate col riso - che si sa, abbonda sulle mani degli sciocchi - si scalda a sufficienza.
Ho diviso su un piatto il riso in otto spicchi (odio ritrovarmi con arancini di diverse dimensioni perché mi sono regolata male coi palmi) e, dopo aver preso ogni spicchio, l'ho schiacciato leggermente e ho messo al centro un pezzo di formaggio. Qualsiasi formaggio va bene, la cosa importante è che si sciolga.
chiudete la mano e appallottolate bene il riso, prestando attenzione al pezzo di formaggio e pressando il più possibile. 
Ora provate a immaginare un'operazione simile fatta senza dover fotografare ogni singolo passaggio. Fatto? Ci vogliono due minuti in tutto. Dopo provate a immaginare me che faccio avanti e indietro per lavare le mani ad ogni passaggio per poter scattare la foto.

Di solito si procede con la doppia panatura, ma io non avevo voglia o tempo - vedi il passaggio foto, lavare la mani, appallottolare, lavare mani, foto -, né li avrei fritti, quindi li ho solo rigirati nell'uovo sbattuto - ricordate il sale e il pepe nell'uovo - e successivamente nel pangrattato - nuovamente, ricordate sale e pepe. 

Disponete gli arancini sulla carta forno e
irrorateli di olio, infornateli per circa 30 minuti,
rigirandoli con estrema cura dopo 15.
In tutte le ricette che ho letto dicono sempre di aspettare finché la panatura non sia dorata e bla bla bla.
Io avevo fame, 30 minuti sono sufficienti, li ho sfornati e ho aspettato che si intiepidissero prima di addentarli.
E poi diciamocela tutta: se avessi avuto voglia di arancini veri con la A maiuscola, avrei preparato tutto con cura e seguendo la ricetta originale, risotto allo zafferano, doppia panatura, li avrei fritti invece di cuocerli al forno. Invece no. Sono venuti buoni lo stesso. Certo, la parte divertente è arrivata l'indomani al lavoro quando ho dovuto spiegare cosa fossero, come li chiamiamo noi e come avrei potuto tradurre il tutto in norvegese (letteralmente ho detto che erano palle di riso e che noi le chiamiamo piccole arance: paura, sgomento, terrore e fascinazione tra gli astanti).



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