domenica 27 dicembre 2015

Christmas with the yours, easter what you want

Panorama da Rødland.
Essendo fine anno, sono state pubblicate diverse classifiche sui quotidiani (nazionali ed internazionali) di argomento vario ed eventuale.
Tra le città più vivibili d'Italia, con inesistente sgomento, non c'era Catania.
Tra le nazioni con alta qualità della vita c'è la Norvegia; anche in questo caso lo sgomento è stato lasciato da parte.

Vivo a Bergen, una delle città più piovose e quest'anno abbiamo battuto ogni precedente record: 276 giorni di pioggia. Questo è successo perché dopo lo scorso inverno abbiamo avuto l'autunno, poi l'autunno, poi di nuovo l'autunno e fino a oggi eravamo ancora in autunno (perché a dicembre non è possibile avere 6 gradi). Ma oggi ha iniziato a nevicare, quindi tutto è tornato al suo posto.
 
La cosa divertente  - ok, una delle cose divertenti - per me del vivere all'estero è rispondere alla domanda dei norvegesi stupiti "ma come, sei italiana e ti sei trasferita qua? Ma chi te lo ha fatto fare, qua piove, c'è freddo, voi avete il sole e il cibo buono!".
Tutto vero, in Sicilia abbiamo il sole, abbiamo la granita, abbiamo la tavola calda.
Abbiamo anche la mafia, una naturale repellenza al seguire le regole, una disorganizzazione diffusa.
Sì, è vero, abbiamo la storia a ogni passo (specialmente nella mia città si incontrano e si sovrappongono greci, romani, bizantini), ma cosa te ne fai della storia se non ti senti al sicuro?
Cosa te ne fai del sole e del caldo tutto l'anno se non hai possibilità di costruirti un futuro?
Quelle (rare) volte in cui torno ho paura a guidare, prendere l'autobus è semplicemente un pensiero ridicolo, non è possibile stare in fila educatamente, se rimango ferma al semaforo rosso pedonale rischio la sordità a causa dei clacson.

Non per demonizzare Catania, perché avrei potuto semplicemente provare a costruirmi una vita tra Padova, Verona, Mantova, Parma (città piccole e - per lo più - ordinate; sicuramente non perfette ma fatte per me), ma non è che cambiando regione sia più semplice trovare lavoro e costruirsi un futuro.
Non dico sia impossibile ma non è nemmeno semplice.
Tra le cause possiamo elencare i contratti in nero, i contratti a tempo determinato, l'inesistente permesso di maternità, e così via...


Perché rimango qua?
A parte perché finalmente comprendo il sentimento campanilista dei miei concittadini: amo questa città. Per me è la città più bella del mondo. Ignorando le prime e normali difficoltà burocratiche, io qua sto bene e mi sento al sicuro. Non conosco l'iter che gli immigrati devono seguire in Italia per ottenere tutti i documenti, ma immagino non sia semplice nemmeno lì, specialmente se pensate che quasi nessuno parla inglese, mentre invece qua durante i primi tempi mi è stato fornito aiuto in inglese.
Mi è possibile progettare un futuro, mi è possibile cambiare lavoro, se dovessi rimanere incinta avrei diritto alla maternità e, se non avessi possibilità di mantenere il bambino, riceverei aiuto dallo stato per 18 anni (dopo i 18 anni la Norvegia dà soldi direttamente all'interessato).
Rimango qua perché ho dei diritti in quanto lavoratore e se qualcosa va storto nell'ambiente lavorativo, non è il capo ad avere il coltello dalla parte del manico.
Ho diritto a del tempo libero, sapete che bello il tempo libero senza altre preoccupazioni per la testa?
Non è semplice integrarsi e inserirsi, lo percepisco dai racconti di altri immigrati, ma non impossibile.

Poi volete mettere che bello poter vivere in un posto dove a nessuno importa che lavoro fai ma che persona sei?
Dove non vieni giudicato dal tuo aspetto fisico ma dalle tue azioni?
Dove non importa se sei sposato, se convivi, se sei un prete e sei gay, se i figli prendono il cognome del padre o della madre?
Dove la domenica è tutto chiuso perché è un diritto avere un giorno libero?Probabilmente ho dipinto un quadro un po' troppo idilliaco; non ignoro i lati oscuri di un altro posto differente dalla nazione da cui provengo, con abitudini a volte diametralmente opposte alle mie; però questi lati oscuri non sono poi così oscuri da permettermi di offuscare e rendere negativa la visione d'insieme.

Pepperkake
(biscotti allo zenzero)
Ingredienti:
- 125 grammi di margarina
- 125 grammi di melassa
-2 uova
- 125 grammi di zucchero
- 350 grammi di farina
- 1/2 cucchiaino di pepe
- 3/4 cucchiano di zenzero
- 2 cucchiaini di cardamomo
- 1 1/2 cucchiaino di bicarbonato d'ammonio

Per prima cosa vorrei dire che non è semplice trovare una ricetta univoca per preparare le pepperkake, alcune usano il lievito, altre il bicarbonato e altre il bicarbonato d'ammonio. Alcune usano più o meno cannella, più o meno pepe... E così via. La prossima volta pubblicherò la ricetta del mix di spezie che uso ogni volta che voglio ottenere il gusto di biscotti allo zenzero, stavolta vi beccate la ricetta che ho trovato su un libro, quindi le spezie sono quelle che sono.
Come seconda cosa vorrei dire che al posto della margarina potete usare il burro e che i grammi di farina sono variabili per via delle uova. Il bicarbonato d'ammonio non è necessario, io lo uso perché mi piace l'effetto che fa ai biscotti.
Sciogliete la margarina e la melassa e lasciatele intiepidire; frullate le uova e lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso e aggiungetevi margarina e melassa.
Unite in una ciotola gli ingredienti secchi, mescolateli e passateli al setaccio sul composto di cui sopra.
Impastate fino ad ottenere una palla uniforme, lucida e da sculacciare; quindi avvolgetela nella pellicola e lasciatela in frigo fino all'indomani.
A questo punto dovete armarvi di mattarello e pazienza perché l'impasto sarà ben freddo e duro. Vi consiglio di dividere l'impasto in pezzi più piccoli e stenderlo, poiché tanto dovrete compiere questa operazione più e più volte.
Stendete l'impasto, dicevo, molto molto ma molto sottile (il più sottile possibile) e con le formine ricavate i biscotti.
Dato che si gonfieranno in forno, se avete intenzione di usare delle forme "componibili", vi consiglio di distanziare l'impasto ulteriormente, allargando i lembi, altrimenti non sarà possibile incastrare i biscotti. Questo lo so perché io non l'ho fatto e non ho potuto incastrare nulla. Poco male, il gusto non cambia e fanno tutti la stessa fine: mangiati voracemente.
Accendete il forno e infornate i biscotti per 8-10 minuti a 180°.
Una volta passati i minuti di cottura, fateli raffreddare su una griglia.
Decorateli come più vi piace: dalla glassa con albumi alla glassa di zucchero a velo, glassa colorata o bianca, confetti o cioccolata.
Ho decorato per la prima volta dei biscotti e ho capito che non è una cosa semplice (oppure ho la capacità di decoro degna di un gatto con pollice opponibile); ho anche capito perché le persone fanno figli: i bambini decorano peggio degli adulti ma nessuno va a dire ai bambini che decorano da schifo. Tutti si concentrano su quanto sia coccoloso che i genitori e i figli impastino insieme, ignorando le capacità reali degli adulti.



giovedì 10 dicembre 2015

I dialoghi di Polly In Bloom

Come potete vedere dall'immagine qui accanto (la cui veridicità non è stata assolutamente verificata) e come sapete già perché ve l'avevo già detto, nonostante ci siano due lingue ufficiali e nonostante gli immigrati di solito imparino la prima delle due qui citate, la sensazione è che comunque tutti parliano il proprio dialetto. Decidiamo quindi di considerare l'immagine come veritiera: le due lingue ufficiali e standardizzate sono queste due. Trovarle come lingue scritte nei documenti è assolutamente possibile - e la possibilità dell'una e dell'altra non è randomica (quindi ok, forse l'immagine è veritiera). Non essendoci però una regolamentizzazione riguardo il norvegese parlato, lì casca l'asino - e non ci sono associazioni animaliste pronte a salvare la povera bestia inerme.
Provate a immaginare la difficoltà: siete lì belli seduti coi vostri libri, attenti a imparare la grammatica, la scrittura corretta e poi su facebook trovate madrelingua che scrivono alla cazzo di cane (a proposito, veterinari in lettura, mi spiegate com'è fatto il pene dei canidi?). Un po' come gli immigrati in Italia che se sperano di imparare la lingua italiana dall'italiano medio passano più di un brutto quarto d'ora ("apposto" al posto di "a posto"; "avvolte" al posto di "a volte"; "almeno che" al posto di "a meno che"; "letta" al posto di "lettura" e così via). La differenza è che se un immigrato in Piemonte e uno in Sicilia usano i rispettivi dialetti è  un attimo a fargli scattare il secessionismo. In Norvegia, bene o male, ci capiamo.

Conversazioni realmente avvenute, in norvegese, per dimostrare come basti cambiare leggermente le parole  - perché sei immigrato e ogni tanto il cervello decide di pronunciare cose a caso  - o avere un pessimo udito - a causa dell'età avanzata - per ottenere dei risultati innovativi e sicuramente insperati.


- ...e vorrei un caffelatte
- Espresso singolo o doppio?
- Schifo!
- Ok, caffelatte con espresso singolo allora... Aspetta un attimo che te lo preparo

[in norvegese, singolo si dice "enkel/enkelt" e schifo/schifoso ekkelt]

- Scusa, avete ancora le tessere a punti?
- Sì le usiamo ancora, ma non posso dartene una nuova in questo momento perché le abbiamo finite
- Ah ok...
- Ma le abbiamo decise!
- ...
- No scusa, volevo dire ordinate, la prossima volta che vieni proviamo a ricordare che hai pagato due caffè così ti metto due stampini sulla carta

[deciso > bestemt e ordinato > bestillt - grazie cervello per aver scoreggiato]

- E il caffè lo trovate là in fondo a destra
- Ci serviamo da soli?
- Certo! Ci sono anche due piccole caraffe con il latte o la panna, se ne avete bisogno.
- Ah grazie!
- E se avete voglia di un bis, è gratis
- Ah perfetto, grazie mille!
- espressione intraducibile in italiano ma in inglese è a metà tra " enjoy" e "being cozy"
- Scusa, mi hai appena detto che "purtroppo" il bis è gratis?
- No no, ho detto <<espressione intraducibile in italiano ma in inglese è a metà tra "enjoy" e "being cozy">>

[come la signora abbia potuto capire "desverre" da "kos dere" rimane un enorme mistero, anche perché sarebbe una cosa veramente poco gentile da dire]

- Desideri dell'aioli accanto la focaccia col pollo?
- Delle olive? Buone le olive! Sì, grazie!
- ...

[questo si spiega da solo, no?]

- Scusa, non è che per caso *frase incomprensibile a causa di un affollato caffè in un sabato pomeriggio*
- Non ho capito, puoi ripetere?
- Un *come sopra*
- Ok, forse ho capito, hai delle domande sull'aioli?
- No no, avete trovato una chiave?
- Aaaaaah chiave! Aspetta che chiedo.

[qua c'è un problema tra lingua ufficiale e dialetto: immaginate Aldo, Giovanni e Giacomo durante lo sketch della cadrega. Il tizio, originario di Bergen, invece di dire "noecchel" per chiedere della chiave dice "noiler" e il mio orecchio si rifiuta di memorizzare la parola perché suona molto simile a unghie (neiler) e perché è dialetto, quindi il mio cervello in una situazione lavorativa ha trovato una parola simile dal punto di vista fonetico]

Salmone Antipiretico
Ingredienti:
- 2 tranci di salmone
- 1 peperoncino rosso fresco
- 30 grammi di zenzero fresco
- 2 spicchi di aglio
- 1 cucchiaio di olio
- 1 limone

Come avrete potuto intuire dalle mie ultime ricette, il fidanzato (che per comodità definiremo come "il norgico") non ama mangiare gli avanzi, non ama le verdure, non ama il pesce. In pratica sto con un bambino/adolescente di 40 anni e, siccome mi sono un po' stufata di buttare il cibo e di mangiare roba poco salutare, ma anche di sentire lamentele all'apertura del frigo, ho deciso di usare comunque tutta la roba che compro. Oggi in particolare si tratta di una ricetta-forzadicausamaggiore: il norgico ha il raffreddore. Indi poscia per cui ho unito ingredienti che possano liberare i setti nasali e disinfettare.

 
Nel mixer tritate il peperoncino (se ne avete due è ancora meglio), lo zenzero, gli spicchi di aglio, il succo di limone e l'olio.
Prendete un foglio di alluminio, adagiatevi i tranci di salmone, salate a vostro piacimento e ricopriteli con questa pappetta rosella. Le ricette che ho visto in giro in realtà prediligono un tritato fatto a mano ma in quel caso è più semplice per il norgico scartare i pezzi non graditi.
Fate riposare il pesce per una trentina di minuti.

Nel frattempo io ho messo a bollire delle patate - ma anche del riso o degli spaghettini di riso vanno bene come contorno - e ho saltato in padella quattro carote, mezza cipolla, mezzo peperone dolce (quello lungo, per capirci) e qualche ciuffo di broccolo.
Onde evitare di sentire lamentele riguardo le verdure ho deliberatamente deciso di saltarle usando l'olio del vasettino con i pezzetti di jalapeño e un paio di cucchiai di salsa di soia. Non solo, non ho cotto troppo a lungo, in maniera tale da poter conservare un minimo la croccantezza delle verdure.

Preriscaldate il forno a 180°, cuocete per circa 30 minuti e servite.
Ovviamente potete pure cuocere il salmone in padella, il risultato dovrebbe essere lo stesso.
Tenete a portata di mano dei fazzoletti, sia perché la commistione di zenzero e peperoncino potrebbe farvi colare il naso, sia perché è davvero commovente quando buona sia questa salsina.



domenica 29 novembre 2015

Orgasmi

Questa è una notizia vecchia (ottobre 2014, se non ricordo male) ma credo che non abbia ricevuto la dovuta risonanza: secondo uno studio pare che imparare lingue attivi e stimoli le stesse aree del cervello interessate durante gli orgasmi (o l'atto di mangiare cioccolata).

Mentre cercavo gli articoli originali, la stringa di Google mi ha suggerito ben altri risultati, tra cui, tristemente:

- imparare le lingue è difficile
- imparare le lingue è una perdita di tempo

In quanto (fallita) linguista, io mi permetto sonoramente di dissentire e tengo le distanze da tali esseri umani, o fallimenti dell'evoluzione umana che si voglia dire.
Ogni tanto però mi trovo gomito a gomito con questa tipologia di persone e ho imparato che esiste una domanda che mai mai mai e poi mai devi azzardarti a porre. Non è: come va con la dieta? Non è nemmeno: e allora come va con la conta degli ovuli?
La domanda, e non importa da dove vieni, quanti anni hai e che tipo di lavoro fai, è: ma come, vivi in Norvegia da 3 anni e ancora non hai imparato il norvegese? Ma come fai?

Questa domanda non vi porterà sul podio delle loro 3 persone preferite, ve l'assicuro, anzi.

Il bello - e anche il brutto contemporaeamente - della Norvegia, tanto per tornare al discorso principale degli orgasmi, è che tu immigrato puoi anche prendere un C2 in una delle due lingue ufficiali ma non sarà certo abbastanza per poter comunicare in maniera fluida e senza intoppi con qualunque norvegese. Ognuno parla il suo dialetto, qualche dialetto poi ha le sue parole speciali per chiamare oggetti di uso comune (un po' come "bicicletta" tra tedesco e austriaco) ma soprattutto ognuno ha la sua pronuncia per le parole scritte alla stessa maniera.
Seguendo questo ragionamento io dovrei avere una media di 20 orgasmi al giorno; purtroppo la realtà è ben diversa: per quanto io possa amare le lingue, imparare le lingue, studiare le lingue, interessarmi alle isoglosse e compagnia bella, nella vita comune di ogni giorno non posso soffermarmi a lungo su questi aspetti e concentrarmi solo sulla mera funzione comunicativa, quindi non ho tempo per cedere agli orgasmi e devo dire sempre che ho mal di testa.
Questa storia delle pronunce ti aiuta a capire da dove viene la persona con cui stai parlando ma può anche donarti ottimi momenti di imbarazzante silenzio mentre tu, immigrato, computi la richiesta.

Ci sono un paio di differenze che impari subito: a Oslo per negare dicono  ICCHE, a Bergen dicono ISCE, al nord dicono ICCIE. A Oslo per dire "io" dicono IAI, a Bergen dicono EG e a nord dipende, magari dicono EG, magari dicono Æ (una a aperta e lunga) e via dicendo.

Tu immigrato che impari la lingua ufficiale, sui libri troverai parole come "tallerken" - piatto, "kopp" - tazza, "soppel" - spazzatura, poi vai al lavoro e la gente dice "fat", "krus" e "bosse". Certo, poi arriva qualcuno che invece di BOSSE dice BOSHE e capisci che viene dal nord.

Ci sono stati due momenti fino ad ora che mi hanno lasciata perplessa e riguardano ovviamente la pronuncia strana di parole comuni: l'anziana signora che mi chiede se abbiamo CHUPPE (zuppa) invece di SUPPE e l'anziana signora che mi chiede un RUNDSTICCIE ME KVITUST (fondamentalmente una fetta di pane con del formaggio) invece di un RUNDSTICCHE MED VITUST. Ho quasi perso le staffe (mentali) e stavo per sbuffarle a ridere in faccia perché va bene tutto, ma quando è troppo, è troppo.

Crocchette di patate al forno
Ingredienti:
- 50 gr di purè di patate
- 1 uovo
- 80 gr di formaggio
- Farina q.b.
- Pangrattato q.b.
 Cosa fate quando avete in frigo dei rimasugli di nduja (la quale, devo essere onesta, non era tra le migliori, sennò non avrei mai avuto avanzi di nduja), dei rimasugli di ben due buste di purè - preparate in due giorni - che a scaldarle vi viene un poù il magone e un uovo? 
Ma soprattutto, cosa fate se la vostra vita si dibatte perennemente come il famoso pendolo di Schopenhauer, solo che invece tra dolore e noia si trova tra "cosa voglio mangiare oggi" e "quanto ho voglia di impegnarmi in cucina"?
Preparate le crocchette di patate!
Io ho diviso la nduja in quattro polpettine, ho tagliato il formaggio in quattro cubetti - ma non vi dirò quanto BelPaese sia stato sacrificato nella preparazione delle crocchette -, spingendo poi il formaggio dentro la palletta di nduja, e ho cercato di rendere il purè più sodo e lavorabile aggiungendo un uovo e della farina.
Quando leggete le altre ricette e vedete che dicono di lavorare la pasta delle crocchette con le mani umide, vi prego di ascoltare il consiglio, sennò vi trovate con le mani collose e piene di purè.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Dicevo: ho diviso il purè in quattro pallottole, l'ho appiattito e ci ho messo in mezzo la palletta di nduja e formaggio cercando di formare una palletta finale con il ripieno al centro.
Ho infine impanato tutto e disposto su una teglia precedentemente unta d'olio.

Accendete il forno a 180° e infornate per 20 minuti.
Questa è l'unica foto che ho delle crocchette, sono state divorate, mi spiace.
Erano solo quattro crocchette del resto.



lunedì 16 novembre 2015

Suffissi

Che differenza passa tra un suffisso deavverbiale (-ismo > deriva da) e un suffisso nominale deverbale (-azione > indica l'atto che deriva dal verbo)?
La stessa che - guarda caso - passa tra integralismo e integrazione.

No, niente pippotti sulla Fallaci, sui migranti, sugli attentati.
Non ne ho voglia e non ne ho gli strumenti.

La mia polemica nasce piuttosto da fatti osservati nella vita comune: italiani immigrati a tavola con autoctoni del paese dove si sono trasferiti.
Innanzitutto ci tengo a sottolineare che preferisco usare la parola "immigrato" rispetto a "espatriato", perché, se non lo sapete, di solito noi europei caucasici figli dell'occidente (pleonasmi, lo so, ma volevo tanto evidenziare la cosa) quando lasciamo la nostra patria e ci trasferiamo altrove, preferiamo chiamarci "espatriati"; probabilmente immigrato suona male alle nostre orecchie caucasiche anche perché gli immigrati mica siamo noi. No.
Ci sono gli altri immigrati, quelli più olivastri, meno occidentali, di minore radice cristiana.
Non vorrete mica confondere noi europei figli della democrazia di matrice greca con il resto del mondo, vero?
Sarebbe vergognoso. Sarebbe scandaloso.
Invece no, siamo immigrati come tutti gli altri - l'unica differenza è che noi non possiamo chiedere asilo (anche se dopo il titolo di Libero sui fatti di Parigi ritengo debba essere mio diritto il poter richiedere asilo). 

Dicevo, italiani immigrati. Italiani immigrati a tavola. Mi tornano in mente le nozioni imparate per un esame di geografia riguardante il multiculturalismo soft e hard; tra i vari esempi di multuculturalismo soft c'era ad esempio la voglia di mangiare kebab senza preoccuparsi di andare a frugare nelle radici culturali del popolo che porta il kebab: in altre parole una sorta di fascinazione verso l'esotico e apertura verso un mix di culture ma non apertura tale da mettere in discussione le nostre tradizioni e aggiustare di conseguenza diritti e doveri del portatore sano di kebab.
L'italiano una volta trasferito, se da un lato ci tiene tanto a voler condividere e spargere la sua conoscenza ed esperienza culinaria nel mondo - e si aspetta apertura mentale dal ricevente - dall'altro lato è testardo come un mulo.
Ci sono cascata anche io, che credete. Riesco ad accettare la mancanza del pranzo, la colazione salata e l'insalata come contorno della pasta/lasagna nello stesso piatto, ma spesso è capitato di chiedermi "cosa cucino a fare se poi...":

- preparo un risotto e poi ci metti su la sweet chili sauce
- preparo le bruschette e vi adagi sopra l'hamburger e mangi tutto assieme
- preparo un risotto al brie e mi chiedi dove sia la carne
- preparo un risotto come contorno alle scaloppine ai funghi e tu posizioni la scaloppina sul riso

Inizio a pensare che il problema sia il concetto di risotto.
Dal canto mio non ho avuto grossi problemi di integrazione, ho anzi ampliato le mie prospettive, però di fronte a determinate cose anche io mi blocco, costruisco un muro e dico no. Ho mangiato messicano usando la zucchina al posto della carne e sfumandola col succo di ananas, ho mangiato pasta cotta nel latte, ho trovato ananas sulla pizza, nel cibo indiano ma mai nei dolci o nei gelati, però ditemi voi se mangiare le crêpes dolci per cena, con o senza bacon ma sicuramente con zucchero o marmellata, sia una cosa normale.

Arancini
Ingredienti:
- avanzi di risotto
- pangrattato
- 1 uovo
- formaggio 
Ammetto di aver preparato apposta più risotto del dovuto ma non avevo premeditato la preparazione degli arancini. Di solito preparo in abbondanza così da poter avere del cibo per la pausa al lavoro il giorno dopo, solo che stavolta ho calcolato male i tempi ed avendo un giorno libero ho dovuto riutilizzare il riso in maniera tale che il norgico non si lamentasse (a quanto pare è illegale mangiare due giorni di fila lo stesso piatto).
Accendete il forno a 180°, così mentre giocate col riso - che si sa, abbonda sulle mani degli sciocchi - si scalda a sufficienza.
Ho diviso su un piatto il riso in otto spicchi (odio ritrovarmi con arancini di diverse dimensioni perché mi sono regolata male coi palmi) e, dopo aver preso ogni spicchio, l'ho schiacciato leggermente e ho messo al centro un pezzo di formaggio. Qualsiasi formaggio va bene, la cosa importante è che si sciolga.
chiudete la mano e appallottolate bene il riso, prestando attenzione al pezzo di formaggio e pressando il più possibile. 
Ora provate a immaginare un'operazione simile fatta senza dover fotografare ogni singolo passaggio. Fatto? Ci vogliono due minuti in tutto. Dopo provate a immaginare me che faccio avanti e indietro per lavare le mani ad ogni passaggio per poter scattare la foto.

Di solito si procede con la doppia panatura, ma io non avevo voglia o tempo - vedi il passaggio foto, lavare la mani, appallottolare, lavare mani, foto -, né li avrei fritti, quindi li ho solo rigirati nell'uovo sbattuto - ricordate il sale e il pepe nell'uovo - e successivamente nel pangrattato - nuovamente, ricordate sale e pepe. 

Disponete gli arancini sulla carta forno e
irrorateli di olio, infornateli per circa 30 minuti,
rigirandoli con estrema cura dopo 15.
In tutte le ricette che ho letto dicono sempre di aspettare finché la panatura non sia dorata e bla bla bla.
Io avevo fame, 30 minuti sono sufficienti, li ho sfornati e ho aspettato che si intiepidissero prima di addentarli.
E poi diciamocela tutta: se avessi avuto voglia di arancini veri con la A maiuscola, avrei preparato tutto con cura e seguendo la ricetta originale, risotto allo zafferano, doppia panatura, li avrei fritti invece di cuocerli al forno. Invece no. Sono venuti buoni lo stesso. Certo, la parte divertente è arrivata l'indomani al lavoro quando ho dovuto spiegare cosa fossero, come li chiamiamo noi e come avrei potuto tradurre il tutto in norvegese (letteralmente ho detto che erano palle di riso e che noi le chiamiamo piccole arance: paura, sgomento, terrore e fascinazione tra gli astanti).



domenica 1 novembre 2015

La Repubblica delle Banane

Ho sognato di scrivere questo post mesi fa (e con sognato non intendo sogno premonitore, intendo proprio il "oh come vorrei poter scrivere ma ogni volta che premo cinque tasti il monitor si spegne"); ho sognato di scriverlo ogni volta in cui io abbia ricevuto input negativi dall'Italia e che mi abbiano fatto subito pensare a questo esatto titolo: dal collage di foto su facebook con la dicitura "è stato un anno meraviglioso, grazie per averlo reso tale" dopo avervi visto inveire contro chiunque; ogni volta che - nel 2014 - venissero compiuti passi verso un vero stato laico (l'infermiera che nega la pillola del giorno dopo e viene licenziata); ogni volta in cui credete, spinti dalla frustrazione, a qualsiasi cosa che vi piaccia credere, solo perché sui quotidiani - quando in realtà non credete mai ai quotidiani (Schettino docente, vi ricorda niente?); ogni volta che ve la prendete coi produttori di piumini ma quando avete freddo che fate? Chiedete alle oche se gentilmente vi cedono il piumaggio o chiedete il permesso alle pecore per farsi tosare oppure morite di freddo nei vostri vestiti sintetici?
E così via.
Ma non l'ho potuto fare, sapete perché?
Purtroppo sono circa tre anni che il cavetto tra il monitor e la tastiera non funziona bene, e la visuale passa da leggero sfarfallio a oscurità più buia, durante l'ultimo anno poi sono stata capace di utilizzarlo solo e solamente qualora il monitor fosse posizionato in una inclinazione di determinati gradi, rendendo così l'utilizzo stesso del laptop impossibile fuori casa o in qualunque altro posto che non fosse il tavolo e il poggia-laptop (che non funzionasse bene era solo un eufemismo, ogni tanto il monitor si spegneva nonostante l'inclinazione fosse corretta ma era sufficiente premere i tasti - e la p bisognava premerla con forza - per creare scompensi al cavo). 
In una situazione del genere capite bene che non avessi voglia di arrabbiarmi ogni due secondi col povero laptop.
Mi chiedevo quindi, come calcolare gli anni dei pc, perché mi sembra evidente che un anno umano non corrisponde assolutamente a un anno computatorio: ho comprato il laptop nel marzo/aprile 2009 ed è sopravvissuto senza intoppi - se ignoriamo ovviamente il cavetto di alimentazione - fino all'ottobre 2015. Forse si calcola l'età come coi cani? Oppure devo segarlo a metà e contare le smagliature della scheda madre per conoscerne l'età effettiva?
Per non farmi mancare nulla, ho cambiato cellulare a febbraio e le foto usate oggi erano rimaste intrappolate lì dentro. Cellulare malfunzionante più laptop malfunzionante rendono la sottoscritta  una ragazza noiosa (semicitazione da The Shining).
Avrò tempo di recuperare sulle mirabolanti avventure in terra scandinava, intanto vi beccate la ricetta senza filtro e senza inganno (perché se pensate che mi metta qua a inserire le foto nel nuovo cellulare per giocarci con gli effetti per poi riutilizzarle sul pc dopo averle passate dal vecchio cellulare, siete pazzi, più pazzi di me).

Banana Bread
Ingredienti:
- 3/4 banane
- 2 uova
- 120 grammi di burro
- 120 grammi di zucchero
- 200 grammi di farina
- cannella, q.b.
- 1 pizzico di sale
- 1 bustina di lievito
- succo di limone q.b. (facoltativo)


Avete delle banane molto mature, forse troppo mature, a tratti marroncine e nessuno vuole mangiarle?
Schiacciatene la polpa e annaffiatele con qualche goccia di succo di limone; questo serve a non farle ossidare, ma sono già marroni, non mi preoccuperei più di tanto dell'effetto che può avere l'ossigeno.
Io ho usato il comodissimo schiacciapatate ma una fochetta è sufficiente; se vi sentite particolarmente frustrati e siete arrabbiati potete anche schiacciarle a mani nude! Prendi questo, banana malefica!

Dopo esservi accaniti sul cadavere delle banane, passate agli altri ingredienti.
Che il burro non creda di essere esente dalla vostra furia vendicativa.
Innanzitutto lasciate il burro in un angolo e ignoratelo, questo lo farà impazzire, specialmente quando inizierà a sudare. 

Quando lo vedrete sufficientemente ammorbidito montatelo con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso (io ho usato zucchero di canna perché ero in possesso dello zucchero di canna, ma va bene anche lo zucchero bianco per torturare, solo che in quel caso eviterete le accuse di razzismo da KKK).  A questo punto il burro si sentirà sufficientemente al sicuro ma non è finita qui: rompete le uova e unite le loro interiora al composto con un pizzico di sale. Incorporate le banane schiacciate e amalgamate bene il tutto. Adesso cambiate strumento di tortura: afferrate il colino-vergine di ferro e setacciate gli ingredienti secchi nell'impasto, sempre mescolando. Insaporite infine con la cannella - la quantità di cannella è personale ma io consiglio almeno mezzo cucchiaino.

Accendete il forno - 180°C - e imburrate coi resti del panetto uno stampo da plumcake, infarinatelo e infornate il tutto per circa 60 minuti. Per controllare a che punto siete con la cottura infilzerete la vittima con uno stecchino da involtini.

Consiglio di servire il banana bread tiepido, ma potete anche scaldarlo nel tostapane.
Io ci ho messo su dei mirtilli che evidentemente si sentivano radioattivi, perché altrimenti non si spiegherebbe questo aspetto estremamente luminoso in foto.


Ps: io con l'impasto del banana bread ho anche preparato dei muffin e potete aggiungervi gocce di cioccolata o uvetta.

lunedì 9 febbraio 2015

Non esiste brutto tempo...


...ma solo vestiti inadeguati.























Questo, signori miei, è uno dei detti più importanti di tutto il reame norvegese.
Per loro non esistono mai condizioni avverse per godere di qualsiasi attività, interna o esterna, più o meno precedentemente organizzata. Loro sono stati cresciuti così, i loro figli crescono così, i loro genitori prima di loro e i nonni ancora prima.

Questo perché, da un lato qua a Bergen (e la Norvegia in generale non ha climi più amichevoli) piove spesso. 
Ok, piove sempre: l'anno in cui mi sono trasferita ha piovuto per tre mesi senza sosta, quindi che cosa fai per tre mesi? Smetti di vivere? Smetti di uscire? Smetti qualsiasi attività che imponga l'utilizzo del corpo umano al di fuori di quattro mura? No.
Provi un senso di abbandono da parte del sole e una voglia incommensurabile di andare in letargo, vivere perennemente sotto il piumone aspettando che qualcuno porti viveri e coccole? Sì.
Dall'altro lato c'è questa spinta interna, forte quanto lo spleen ma diametralmente opposta, tipica dei norvegesi: hanno sempre del buon umore di riserva. Forse lo tengono in tasca, forse lo tengono nel matpakke, ma se tu prendi un gruppo di norvegesi e li butti in mezzo a una bufera di neve, dopo poco li troverai  a giocare sulla neve, con le slitte, costruendo pupazzi di neve o palle di neve (il lato oscuro della storia è che anche i norvegesi soffrono di questa depressione stagionale, e la combattono assumendo vitamina D oppure, come dicono loro, con la SAS. No, non la compagnia aerea: SAS sta per Sesso, Alcohol e Sud - inteso come prendere aerei e andare verso le Canarie o la Grecia). 
La cosa evidente è che io, terrona, non sono capace. Non sono capace in generale né a camminare sulla neve o sul ghiaccio, né a usare la slitta (loro imparano probabilmente in un periodo compreso tra lo stadio fetale e il primo anno di vita) o ancora meno a maneggiare la neve.
Capite bene che di fronte a queste condizioni meteo sono abituati sin da piccoli a stare fuori, coperti adeguatamente, ma fuori. Iniziano già nel passeggino, lasciati fuori dalle vetrine di negozi o caffé; l'aria fresca fa bene e, per quanto questo possa sembrare strano per qualcuno cresciuto da mamme apprensive, immaginate il senso di pace che tu madre puoi riacquistare anche solo per 15 minuti quando lasci il passeggino fuori dal caffé.

Il segreto della sopravvivenza giace in due materiali: la lana e il goretex.
Con un primo strato di lana che comprende calzini, calzamaglie, maglie a maniche più o meno lunghe, sciarpe, guanti e berretti, e un secondo di goretex, norvegesi di ogni età vivono e procedono tranquillamente con le loro vite. Dove noi con due gocce di pioggia decidiamo di stare dentro casa per proteggere i bambini, loro tuffano i bambini nelle pozzanghere. Tanto hanno gli stivaloni di gomma. Tutta salute.
Capite bene che a causa di tutto ciò è necessario lasciare da parte la voglia di essere assolutamente alla moda e ripiegare su abbigliamento comodo e caldo. Ho visto stivali di gomma di ogni forma, lunghezza e fantasia. Ho visto calzettoni sopra jeans e calze di lana sotto jeans strappati. Più la scarpa di goretex è massiccia e meno ti bagni. Il dubbio si insinua: mi vesto in maniera carina e rischio la morta per ipotermia oppure mi vesto in maniera decente e proseguo le mie attività?
Parlavo di questo con una mia amica che, durante un weekend a Bruxelles, ha sofferto un po' il freddo e, dopo averle spiegato che il segreto giace tutto nel primo strato di lana e in successivi strati di goretex, pantaloni di gomma e altre amenità, mi ha chiesto "ma i norvegesi, si trovano attraenti?".
La domanda è obiettivamente ben posta e la risposta si trova sicuramente nell'imprinting, però ho sproloquiato sufficientemente, quindi approfondirò la questione nel prossimo post.

Polpettone al forno:
Ingredienti
- 600 grammi di macinato
- 100 grammi di creme fraiche
- 50 grammi di mozzarella
- 100 grammi di spinaci
- 2 uova
- 1/2 cipolla
- 2 spicchi di aglio
- jalapeño q.b.
- senape q.b.
- 2 fette di pane

Non ho mai preparato un polpettone in vita mia ma avevo proprio voglia di polpettone, quindi ho letto all'incirca 3540987985454 ricette differenti e poi ho fatto a occhio. Innanzitutto serve del macinato: maiale, vitello, misto, fate voi; mettete il macinato nella ciotola dell'impastatrice con le uova, il sale e un filo di olio; azionate il braccio e prendete le fette di pane - o pan carré - e tritatele nel mixer. Unitele al composto e, se volete, tritate un po' di pepe nero. Lasciate il composto a riposare mentre vi dedicate al ripieno.
La ricetta che ho trovato usava aglio e scalogno. Non avevo lo scalogno e ho usato mezza cipolla. La ricetta diceva anche di usare del jalapeño e io ero sicura di averne; invece no, me tapina, avevo solo dell'olio dove c'era stato precedentemente del jalapeño e allora ho deciso di mixare aglio, cipolla e un po' di quell'olio. Aprire il mixer è stato come scoperchiare il vaso di Pandora ma vi assicuro che non me ne sono pentita.
A questo punto accendete il forno a 180° e prendete gli spinaci. Io ho usato spinaci freschi e ho scelto di non saltarli precedentemente in padella ma, se l'avessi fatto, sono sicura che avrei potuto usare tutti e 150 i grammi che avevo comprato - poco male, li ho mangiati in insalata. Ho mescolato gli spinaci con questo mix di aglio/cipolla/olio piccante, la creme fraiche - perché la creme fraiche e non formaggio normale? Perché ne avevo un po' in frigo - e la mozzarella.
Prendete un foglio di carta forno e spalmatevi su il macinato, creando un quadrato - più o meno - dallo spessore di un cm e spennellatevi su della senape (se non vi piace potete evitarla e non muore nessuno, giuro). Infine tocca al composto di spinaci in creme fraiche e aromi. 
Mi raccomando, create un quadrato più piccolo con gli spinaci lasciando un bordo sufficiente per poter chiudere il polpettone ai lati, pena la fuoriuscita del ripieno. Come dicevo prima, non ho mai preparato un polpettone e avevo paura di rompere tutto nel tentativo di chiuderlo; poi però ho pensato: la tecnica è la stessa del maki. 
Quindi aiutandomi con la carta forno ho arrotolato e pressato, arrotolato e pressato. Alla fine ho chiuso la carta come una caramella e questa azione ha permesso di richiudere i lati del polpettone in sicurezza.
Ho infornato per 40 minuti, sfornato, lasciato intiepidire un minimo per poterlo affettare e servito con patate e verdure.




lunedì 26 gennaio 2015

Come essere norvegese in en, to, tre


Tentare di spiegare cosa voglia dire vivere in Norvegia o come siano i norvegesi è come invitare qualcuno a vedere con te una delle tue serie tv preferite ed iniziare dalla terza puntata della quarta serie, tentando di delucidare i rapporti tra personaggi ma anche cercando di interpretare i meccanismi e le situazioni pregresse proprio mentre guardi la puntata.
Quindi farò del mio meglio. I norvegesi sono strani, e sono strani come qualsiasi altro popolo appare agli occhi di un espatriato.
Quando mi sono trasferita una mia amica mi ha donato il link di questo video e devo dire che è molto realistico nonostante l'intento canzonatorio. Essendo in inglese, senza sottotitoli e con un buffo accento norvegese, so di non averlo reso fruibile a tutti. Me ne scuserei ma in fondo non mi dispiace.

Il norvegese nasce con gli sci ai piedi, viene cresciuto a patate bollite e pesce finché non va via da casa - di solito all'età di 18-19 anni per via dell'università. Ho visto bambini di due anni capaci appena di stare in piedi buttati sulla neve e con gli sci. Il norvegese viene sì cresciuto a patate bollite e pesce, però dentro casa, solo dentro casa. Qualsiasi altra attività esterna (scuola o passeggiate, per esempio) viene ritenuta degna dell'essere norvegese solo in presenza del matpakke. Il matpakke (mat = cibo, pakke = confezione, pacchetto, contenitore) è quella cosa che noi possiamo definire come la merenda che portavamo a scuola, ma non le merendine. Questo è un matpakke che ho preparato personalmente: fetta di pane imburrata, formaggio e fettina di cetriolo (in alternativa va bene del salume e del peperone crudo; sono stati osservati casi di accompagnamento come cremine spalmabili di dubbio contenuto. I norvegesi chiamano qualsiasi cosa che mettono sul pane "pålegg", tradotto letteralmente come "qualcosa messa/spalmata/stesa su". Il dubbio contenuto di queste cremine varia dal fegato allo sgombro, dal formaggio in tubetto al semplice formaggio spalmabile). Il burro è necessario. Una volta la Norvegia ha finito il burro, quindi ha ricominciato a seguire una delle sue vecchie tradizioni vichinghe: razziare i posti vicini. In quel caso i norvegesi hanno preso la macchina e sono andati fino in Svezia a far collezione di burro ma il piglio era lo stesso dei tempi andati, quando distruggevano villaggi in terra inglese. Una volta ho detto che stavo preparando una ciambella senza burro e mi hanno guardato come se fossi un'aliena chiedendo "ma perché no? Il burro è buono, fa bene, è naturale", in Italia mi avrebbero eretto una statua come eroina della patria. I norvegesi hanno anche un rifiuto psicologico verso il pane bianco, piuttosto che mangiare pane bianco si lasciano morire di fame e il formaggio deve essere affettato al momento.
I norvegesi sono orgogliosi in generale ma sono molto, molto orgogliosi di aver inventato il tagliaformaggio. Quello che vedete sotto il tagliaformaggionorvegese è un tipico prodotto, il brunost (tradotto letteralmente: formaggio marrone. Esiste solo in Norvegia, originariamente come formaggio di latte di capra ed il colore è il prodotto di non so esattamente quale processo che accade durante la preparazione: il calore rende lo zucchero del latte come caramello. A causa di ciò non si consuma con salumi ma con burro o marmellata). E' assolutamente socialmente accettato l'uso di consumare il matpakke della colazione sul bus (se potessero sono sicura che si porterebbero un matpakke pure alle feste). Di solito le fette di pane sono accompagnate da frutta o pomodorini. Non è inusuale vedere bambini imbacuccati - ma non troppo perché devono abituarsi al freddo - che mangiano sul bus verso l'asilo, seduti accanto ai genitori che consumano il loro matpakke. Ovviamente è necessaria una bottiglia riempita d'acqua o una tazza termica per il viaggio. Il matpakke e la tazza termica fanno parte del kit per il norvegese principiante assieme a un qualsiasi articolo con su la bandiera norvegese; non importa se sia uno zaino, un berretto di lana o una giacca, qualcosa deve avere la bandiera norvegese. 

Crostata di pistacchio:
- 100 grammi di pistacchio
- 250 grammi di farina
- 1 uovo
- 125 grammi di burro
- 100 grammi di zucchero a velo

Cosa fai quando hai in casa del pistacchio che sta per scadere e sei in preda alla sindrome premestruale?
Il mio primo pensiero è stato: preparo le lasagne con funghi, pistacchio e prosciutto. Oppure potrei preparare degli involtini di pollo con philadelphia e pistacchio. Ma è domenica, non ho in casa dei funghi, non ho sufficiente latte per preparare la besciamella, mi manca il pollo e pure il philadelhphia; soprattutto non ho voglia di uscire.
Mi ricordo improvvisamente di avere una mezza busta di budino al cioccolato che aspetta di essere preparata e mi metto subito all'opera.
Frullo i pistacchi, aggiungo lo zucchero a velo, il burro (burro appena preso dal frigo, non a temperatura ambiente né tanto meno sciolto, altrimenti diventa un vero inferno impastare), infine l'uovo e la farina.
Prendo la pasta dal cesto dell'impastatrice e le do un paio di colpetti a mano; la sculaccio per sentire l'effetto che fa.
Il rumore è lo stesso di una chiappa soda, sono soddisfatta.
La avvolgo nella pellicola per alimenti dopo averla appallottolata per bene e la lascio riposare in frigorifero per almeno 30 minuti.

Intanto preparo il budino. Voi potete usare la vostra ricetta di budino al cioccolato, io possedevo quella mezza busta e volevo liberarmene.
Per di più non puoi tentare di convincere una femmina in preda alla sindrome premestruale e in piena voglia di cioccolata di lavorare su un budino per più di qualche minuto.
Mi sono permessa di aggiungere 100 grammi di salsa al caramello al budino. Anche la salsa al caramello (che forse in italiano suona meglio come sciroppo al caramello) era già pronta nella sua bottiglia - non so quanti di questi prodotti si trovino già confezionati e pronti all'uso in Italia ma qui in Norvegia è un fatto piuttosto comune. In ogni caso, volevo aggiungere un leggero sentore di caramello e 100 grammi di salsa/sciroppo hanno fatto al caso mio.
Intanto sono passati i 30 minuti e tocca stendere la pasta. Accendete il forno a 200 gradi e impugnate il mattarello. Le leggende narrano che si debba stendere per uno spessore di 4-5 mm, io credo di aver esagerato sulla base lasciando almeno 6-7 mm.
Stesa la pasta e adagiata quest'ultima nella tortiera - la mia è di 26 cm - mi rendo conto di avere troppo bordo, allora lo taglio, lo impasto velocemente (prima che il calore della cucina e delle mani renda impossibile ogni ulteriore operazione) e creo dei biscotti.
Dato che non avevo idea di cosa sarebbe potuto accadere in caso di budino su pasta frolla, ho preferito operare una cottura alla cieca. Ma non avevo nemmeno legumi quindi ho sperimentato.
Bucherellate la pasta, mi raccomando, sennò si gonfia e vi rovina la crostata.
Controllo varie ricette e tutte dicono di infornate per 15 minuti; lo faccio anche io. Passati i 15 minuti i biscotti sono ovviamente cotti a sufficienza e allora li tiro fuori e li lascio raffreddare. Da quel punto in poi controllo la base della crostata a intervalli regolari (ogni 5-10 minuti).
Morale della favola: se con la cottura alla cieca che coinvolge i legumi usiamo 15-20 minuti, con la cottura alla cieca senza i legumi io ho impiegato circa 30 minuti.
L'ho lasciata raffreddare leggermente, spalmato il budino e adagiati i biscotti su quest'ultimo.
Ho poi infilato la teglia in frigo per un paio di ore.
Come natura vuole, il giorno dopo era ancora più buona e più facile da tagliare.
Dato il pistacchio di buona qualità non c'è stato bisogno di aggiungere coloranti e, data la presenza del budino e del caramello avrei anche potuto evitare lo zucchero a velo nel'impasto.


sabato 17 gennaio 2015

E non me ne accorsi

Andiamo con ordine. Alfabetico.
Non so perché ma ho immaginato la voce narrante come quella del giovane Stefano Accorsi in Jack Frusciante è uscito dal gruppo.

Ti sei trasferita in Norvegia; parli quasi decentemente qualche lingua ma nonostante questo non sei proprio riuscita a imparare il polacco. Però tra te e te dici "vabbè ma il norvegese è una lingua a metà tra inglese e tedesco, basta una spintarella".
Ni.
Arrivi in Norvegia, leggi cose a caso e capisci. E' un enorme passo avanti rispetto al dover fare la spesa con google traduttore a portata di mano.
Arrivi in Norvegia, studi l'A1 da autodidatta in una settimana circa e ti butti nel corso A2. Dai, si può fare.
Dopo il corso A2 e qualche mese di permanenza, nonostante il non costante contatto con norvegicoparlanti - l'inglese lo parlano tutti - riesci a carpire i concetti importanti di frasi dette a voce o lette su libri.
Ma c'è un ma, un grosso ma, un faraonico ma. Più lo guardi e più cresce. E lui ti guarda eh, sornione.
Sembra un soufflé pronto a esploderti in faccia, oppure a sgonfiarsi del tutto. Ma ti guarda; sicuro, lui.
A prescindere dal problema comune di coloro i quali masticano almeno due lingue - ovvero le interferenze inaspettate e del fatto che il cervello si prende in giro da solo ripetendomi e rassicurandomi "dai, questa parola è tale e quale all'inglese (o al tedesco), mica vorrai trascriverla. Ma è ovvio che te la ricorderai nell'esatto momento del bisogno"; dopo due anni abbondanti di permanenza, corsi, contatti con norvegicoparlanti (i quali, nonostante parlino tutti inglese, ci tengono ovviamente a usare la loro lingua e allora per aiutarti minimizzano l'uso dell'inglese), giornali, televisione, sottotitoli, libri e quant'altro, ancora ho problemi con le vocali. Puoi leggere a voce alta ed esercitarti quanto vuoi, ma prima o poi la vocale la sbagli.
Eccolo il grosso ma, le vocali.
In italiano abbiamo cinque vocali (studiosi di linguistica, lo so che sono di più ma venitemi incontro per una volta): a, e, i, o, u. Va bene, abbiamo pure i dittonghi ma si leggono comunque in una sola maniera.
In spagnolo ci sono cinque vocali, le stesse delle italiane e, pure se le accenti non cambiano pronuncia.
In inglese le vocali sono solo cinque ma per ragioni che io e i linguisti di cui sopra conosciamo e non vogliamo dirvi per non tediarvi, la pronuncia dipende dalla posizione della vocale (o delle vocali). Ma il problema non si pone più di tanto, ho iniziato con l'inglese in prima elementare.
In tedesco le vocali sono otto: a, ä, e, i, o, ö, u, ü. La posizione non conta, si leggono sempre alla stessa maniera. La a è sempre a, la ä si legge sempre e, anche la e si legge sempre e, la i, la o e la u non cambiano mentre invece per la ö e la ü dovete immedesimarvi in Calderoli, in un leghista o in un bresciano qualsiasi. Vivete nella bassa, emanate suoni gutturali che nemmeno un Uruk-hai: chiudete quelle vocali.

E il gioco finisce qui.

No.
In Norvegia le vocali sono a, e, i, o, u e alla fine dell'alfabeto hanno aggiunto å, æ, ø. Perché alla fine non lo so, ma tant'è.
La a non si legge mica a, è una sorta di o ma dipende dov'è messa. Quindi a volte suona come una a. La e si legge e, la i si legge i, la o non si leggerà mica o, hanno la a per questo. La o si legge come una lunga u... e la u? La u si legge ü. La nostra o è rappresentata a vocali senza frontiere dalla å e la nostra a è prodotta con una lunga e aperta a da æ. Dulcis in fundo, la ø si legge come la ö.
Ora vorrei vedere voi, magari di fretta, con vocali ben fissate e radicate nel vostro cervello a non tentare di sillabare la o del vostro cognome come o e non con una lunga u.
E questo ma continua a fissarmi, lo saluto timidamente con la manina e con un sorriso imbarazzato stampato in faccia.

Muffin salati:
- 300 gr. di salmone fresco
- 1/2 cipolla
- 3 uova
- 2 funghi
- 1 carota
- 100 ml di panna acida
- 250 gr. di patate
- 1 bustina di lievito
- Aneto q.b.

Mi è stato fatto notare che dovrei usare più ingredienti del luogo perché cose come la bottarga in Norvegia non si trovano. Tanto di cappello, io la bottarga me la sono portata da casa da brava immigrata e non oso immaginare quanto possa costare nei negozi di importazione. Allora ho pensato: come crescono i norvegesi?
Patate e pesce. E allora via.
Mettete a bollire le patate, per fare prima sbucciatele e tagliatele a cubetti - invece di 30 minuti ne impiegheranno 20; non dimenticate di salare l'acqua di cottura. Tagliate la cipolla e fatela imbiondire a fuoco medio-basso, tagliate i funghi e aggiungeteli alla cipolla. Intanto tagliate a cubetti i tranci di salmone e, quando i funghi saranno sufficientemente appassiti, aggiungete pure i cubetti si salmone in padella; salate e pepate.
Mentre le patate si cuociono e la cipolla fa amicizia coi funghi e il salmone, sbucciate una carota e tagliatela alla julienne.
Scolate le patate e schiacciatele in una ciotola capiente, aspettate che si intiepidiscano e iniziate con l'impasto per i muffin: rompete le uova nel paniere, no, nella ciotola; aggiungete la carota e il composto di cipolla, funghi e salmone. Mescolate per bene e accendete il forno a 180°. 
Adesso aggiungete la panna acida. Perché la panna acida e non il latte? Perché avevo la panna acida in frigo, voi usate pure il latte o la panna normale. Mescolate e inserite la bustina di lievito. Prima apritela, vi serve solo la polverina. Per chi, come me, non possiede bustine, bastano 12 grammi di lievito - ma il lievito norvegese è un pochettino debole, quindi io devo sempre raddoppiare la dose.
Come tocco finale, annettete all'epico impasto dell'aneto e dividete il tutto nei pirottini. Ho scelto di decorare i muffin con dei semi di girasole e di zucca. Non aggiungono troppo al sapore finale ma è una decorazione e in quanto tale non deve avere molti altri sensi se non quello di essere carina e di sorridere agli astanti.Infornate per circa 20 minuti; per sincerarvi della compiuta cottura infilzate i muffin con uno stecchino e, se torna su asciutto vuol dire che sono pronti. 
Sfornateli e prima di servirli fateli raffreddare per qualche minuto.
A me sono venuti 14 muffin; ulteriore lato positivo della ricetta: potete congelarli e scongelarli all'occorrenza.

domenica 4 gennaio 2015

Scimmie di montagna

O almeno, è così che i danesi chiamano i loro vicini di casa - nonché ex sudditi.
Questa descrizione è dovuta al fatto che i norvegesi hanno delle montagne e su queste montagne crescono le foreste (e i danesi no)... E loro cosa fanno, soprattutto la domenica mattina quando tutti dovrebbero essere a casa a dormicchiare sul divano e smaltire la sbronza? Loro vanno in giro per foreste, zaino in spalla (e di solito nello zaino c'è un qualche infante) e con qualsiasi condizione meterologica!
Da sud-europea quale sono - o nordafricana, fate voi - trovo che la definizione migliore sia "caprette" e non "scimmie". Trovo veramente scioccante come riescano a mantenere l'equilibrio su qualsiasi tipo di roccia ricoperta più o meno di muschi, acqua, neve o ghiaccio e in qualsiasi pendenza appena compiono il secondo anno d'età.

Perché vi sto dicendo tutto questo? Perché spesso (e soprattutto all'inizio del trasferimento) ho ricevuto domande riguardo la Norvegia e i norvegesi; domande più o meno furbe, considerando che viviamo nel 2015 e molte risposte potrebbero essere soddisfatte semplicemente usando un qualsiasi motore di ricerca, ma tant'è.

Da siciliana totalmente disabituata alla vista della neve - ricordiamo alla gentile utenza che una volta, nel mantovano, ho provato a fare una palla di brina perché era la cosa più simile alla neve in quel momento - ammetto che, problemi di deambulazione a parte, sono sempre molto felice quando vedo nevicare.
Va bene, io non ho problemi collaterali a quello della mancanza di equilibrio perché non guido, però mi piace lo stesso; mi piace meno il giorno dopo quando è tutta schiacciata e prende forma di ghiaccio ma basta comprare degli spuntoni da attaccare alla scarpa oppure prenderla con filosofia e tentare di pattinare.
Domenica scorsa ha nevicato e mi sono detta "è proprio il caso di scattare una foto tentando di essere il più norvegese possibile, nei limiti della mia sicilianità", quindi eccomi qua nel mio tentativo di farvi da guida attraverso la Norvegia - attraverso il mio punto di vista.



Cupcake di carne
per le polpette:
- 400 grammi di macinato
- 1/2 cipolla
- 1 spicchio di aglio
- 2 uova
- 2 cucchiai di prezzemolo
- sale e pepe q.b.
per la salsa:
- 1 cucchiaio di senape
- 1 cucchiaino di peperoncino
per la glassa:
- 250 grammi di patate
- 100 ml di latte
- 100 grammi di burro
- noce moscata q.b
- sale q.b.

Preriscaldate il forno a 180° e preparate le polpette e il purè di patate.Tagliate le patate a tocchetti: questo vi consentirà di schiacciarle subito dopo averle cotte senza attendere che si raffreddino per poterle pelare - sempre se non abbiate voglia di perdere l'uso dei polpastrelli, delle impronte digitali e darvi così al crimine organizzato - e tagliarle a tocchetti. Copritele di acqua e salate l'acqua, così non dimenticherete di farlo in un momento successivo in preda all'euforia. Quando l'acqua inizia a bollire puntate il timer su 20 minuti (o quanto dice la confezione delle patate in vostro possesso)... Se avete voglia di fare i pigri, usate il purè in busta ma non venitevi a lamentare con me se il sapore non è buono come il buon purè di una volta.
Passiamo alle polpette: la ricetta è quella che uso di solito, modifica più, modifica meno; potete usare la vostra e vi assicuro che non mi offendo. Ad esempio stavolta non avevo della cipolla in casa, quindi ne ho fatto a meno e ho aggiunto del cumino, per esaltare un po' il gusto del macinato di bue. Mescolate tutti gli ingredienti in una ciotola e preparate sei polpette da adagiare in formine da muffin, pressando leggermente la polpetta sul fondo; lasciate riposare qualche minuto, non per qualche motivo particolare ma perché c'è da preparare la salsina con cui spennellare i muffin. 
Aggiungi didascalia

In una ciotola mescolate la senape e il peperoncino (la ricetta originale prevede salsa chili, zucchero di canna e senape; io però non avevo voglia del retrogusto dolce dello zucchero, quindi ho evitato) e spennellate i vostri muffin. 





Adesso è ora di infornare per circa 30 minuti e dedicarsi alla purea di patate. Se volete fare i raffinati vi consiglio di usare la ricetta delle patate duchessa (fondamentalmente è come il purè di patate ma si aggiungono un paio di tuorli per avere l'effetto decorazione sfiziosa dovuta alla crosticina) sennò, se avete poco tempo come la sottoscritta fate così: schiacciate le patate, aggiungete il latte e il burro, il pepe e la noce moscata. Prestate molta attenzione alla consistenza: se il purè dovesse risultare troppo sodo vi verrà difficile usare la tasca da pasticcere, se troppo liquido anche, perché vi ritroverete schizzi di purè dappertutto. 
Lasciate riposare il purè, ma solo perché la carne è ancora in forno. Tirate fuori le polpette dal forno e accendete il grill. Adesso è ora di glassare i muffin; usate qualsiasi bocchetta di vostro gusto - battute di cattivo gusto ben accette - e spremete sulle polpette dei ciuffi di purè dalla dimensione che più vi aggrada - battute di cattivo gusto nuovamente ben accette -, e infornate per qualche minuto finché il purè non vi sembra sufficientemente croccante. 
Ri-sfornate e servite.