venerdì 26 luglio 2013

E le Fante?


Su avanti, anche voi ricordate quella pessima barzelletta che non starò qui a ripetere perché è veramente pessima. Ma non siamo qui a pettinare i peletti della schiena degli elefanti, quanto piuttosto citare la proverbiale memoria: se dovessimo disegnare un grafico dove l'elefante è l'animale con maggiore memoria e non so quale esattamente non sono un'etologa l'animale con minore memoria, io mi troverei esattamente a pari merito con quest'ultimo. Non lo faccio apposta, per certe cose ho una memoria ferrea - non sto qui a elencare le noiose cose che ricordo, fidatevi - però per quel che riguarda gli eventi quotidiani e pragmatici mi trasformo in un'ameba, un'imbarazzante ameba. Per quello se mi ricordo di dover fare qualcosa la faccio subito oppure lascio bigliettini nella tasca dei pantaloni, o ancora meglio scrivo mille volte la stessa cosa sull'agenda.

Non ricordo le facce o non ricordo i nomi (nei casi peggiori c'è l'eventualità che queste due cose accadano contemporaneamente: era una gioiosa sera di dicembre quando, seduta al tavolino di un pub con tre amici, vediamo da lontano quello che per me è un conoscente. Ci avviciniamo, chiacchieriamo. Era accompagnato da donna caucasica vermiglio crinita non meglio identificata; talmente poco identificata che non ce l'ha presentata. L'indomani sera, stesso posto, simile storia, stesso pub, mentre ero in fila per pagare una vodka tonic, una ragazza mi si pianta davanti:
- Ciao! [con fare entusiasta]
- Ahm, e-e-e-e-h [volevo dire: ciao a te, straniera, come nei migliori film western]
- Beh almeno ciao puoi dirmelo...
- Sì, ok, ciao, però perdonami io non so chi sei [da anni gira voce che esiste in città la mia sosia, io non l'ho mai incontrata ma mi ha fruttato scene come "però mercoledì avresti potuto venirmi a salutare", "peccato io sia atterrata venerdì, chissà chi hai visto"]
- Ma come, ci siamo incontrate ieri, sono la tizia che sta con *aggiungete nome fittizio che più vi aggrada*
- Ah scusa, sono rincoglionita
Non ricordo le date: compleanni, anniversari e chi più ne ha più ne metta, una volta sono arrivata in ritardo a un esame perché ricordavo fosse il giorno dopo. Io so che il compleanno di mia madre cade nell'ultima settimana di febbraio, che quello di mio padre è durante le vacanze natalizie e se non ci fosse facebook sarei fregata. Ma a volte sono fregata pure con facebook. Una su tutte: una mia amica, carissima amica, toglie la data e io le prometto di farle gli auguri per tutti i giorni della settimana nella quale avevo stabilito potesse trovarsi il suo compleanno (l'ho fatto e ora me lo sono scritto in agendina, ora devo solo ricordarmi di guardare l'agendina). La migliore è successa col mio ex: io sono una nottambula, una che piuttosto che svegliarsi presto proprio non va a dormire, per cui, quella sera mi dico "aspetto la mezzanotte e gli faccio gli auguri per prima": sono crollata come una pera cotta. L'indomani tra lo studio, l'università e altre cose, questo pensiero è passato totalmente in cavalleria. Nel tardo pomeriggio accedo a facebook e noto che un sacco di gente gli ha scritto sulla bacheca. Il gelo. Nelle mie vene. Ok, facciamo che faccio la figa che glieli fa per ultima.
- Ehi buon compleanno, sono l'ultima? Ahahahahahaha credevi mi fossi dimenticata eh?
- Ti sei dimenticata, vero?
- Sì. però volevo essere la prima ieri notte e mi sono addormentata allora mi sono arrabbiata un sacco con me stessa perché quando ci siamo sentiti a pranzo non mi sono ricordata, ecco, sniff. [tono da cane bastonato che più bastonato non si può]
Oppure, 18 novembre 2002 (visto che ricordo cose inutili?), ricevo una telefonata dal genitore XY:
- Non dimentichi niente?
- Tipo?
- Oggi è il compleanno dei tuoi fratelli, chiama a casa...
- Ah. Ma non era il 13?
- E perché non hai chiamato il 13?
- Mi sono ricordata il 16 e mi pareva brutto con 3 giorni di ritardo.
Funghi ripieni
Ingredienti per 3 persone:
- 6 champignon
- 1/2 cipolla
- 3 fette di zucchina
- 1/2 dado
- 3 cucchiaini di olio
- Gouda grattugiato q.b.
- 1 busta di purè
- 3 uova
- sale, pepe, prezzemolo q.b.

Lavate i funghi e staccatene i gambi ponendo attenzione a non distruggere i cappelli di questi ultimi. Di solito basta tenere tra pollice e indice della mano sinistra il cappello e tra pollice e indice della mano destra il gambo, torcere leggermente il gambo e tirare, ma con cura - dovete sapere che gli champignon in quanto francesi ci tengono particolarmente alla moda. 

Tritate finemente la mezza cipolla e mettetela in padella antiaderente a soffriggere con 3 cucchiaini di olio. Mentre la cipolla cuoce potete tritare i gambi e spellare i cappelli degli champignon, quando la cipolla sarà dorata aggiungete tutto in padella con mezzo bicchiere d'acqua e coprite, con un coperchio, non con una copertina. Intanto tagliate a cubetti tre fette di zucchina - lo spessore della fetta sarà di circa un centimetro - e mettete anche quest'ultima a rosolare; aggiungete mezzo dado, coprite nuovamente. 
Quando le verdure erano a metà cottura io ho usato lo stesso mix di erbe dell'altra volta, pomodorini essiccati, origano, peperoncino, basilico, aglio e sale (ho anche aggiunto una spruzzatina di pepe nero).

Una volta che i funghi saranno cotti trasferiteli in una ciotola, preriscaldate il forno a 180° e disponete gli champignon in una teglia con un filo di olio sul fondo. Riempite le teste con l'impasto e infornate per 10 minuti. Grattugiate del gouda (qualsiasi altro formaggio che vi piace andrà benissimo), tirate fuori la teglia e coprite le teste col formaggio, infornate per altri 10 minuti.
Nel frattempo io ho anche spellato due patate lesse rimaste in frigo dalla cena del giorno prima mentre in una pentola preparavo il purè e le ho aggiunte schiacciandole precedentemente.

La parola d'ordine degli ultimi periodi è "pigrizia", quindi nella pentola antiaderente in cui ho cucinato il ripieno dei funghi ho rotto tre uova, ho aggiustato di sale, di pepe nero e
di prezzemolo, quindi le ho strapazzate.


Lo so cosa state pensando: nel ripieno manca il pangrattato e il prosciutto (almeno, così li prepara la mia mamma ed è il motivo per cui li ho cucinati: volevo che dei piccoli norvegesi potessero capire almeno in parte cosa vuol dire mangiare la verdura in maniera inaspettata).
Il pangrattato non ce l'avevo, nemmeno la mollica di pane, il prosciutto era finito, però quando ho detto "sono funghi ripieni", i bambini hanno strabuzzato gli occhi. Cucina italiana for the win! Piccola precisazione: ho scritto per tre persone perché una persona sono io, un'altra è una bambina di 10 anni e l'ultima una bambina di 3, lo so che tre persone di stazza normale muoiono di fame con due funghi a testa, però siete grandi abbastanza per fare delle moltiplicazioni.


venerdì 5 luglio 2013

Immigrant Song

Per chi non lo sapesse, questo è un pezzo dei titoli di testa di 
"Uomini che odiano le donne" durante i quali è possibile 
apprezzare un remix della canzone dei Led Zeppelin targato
Trent Reznor.  Di solito i Led Zeppelin non amano dire di sì
all'utilizzo delle loro canzoni nei film, quindi possiamo anche
ritenerci fortunati (la versione originale si trova invece in
School of Rock).
We come from the land of the ice and snow,
From the midnight sun where the hot springs flow.
The hammer of the gods will drive our ships to new lands,
To fight the horde, singing and crying: Valhalla, I am coming!

Citare i Led Zeppelin per tre differenti ragioni:
1. sono i Led Zeppelin, quindi è cosa buona e giusta
2. questo video che guardo a intervalli regolari dal 2003
3. l'argomento di oggi, lo shock culturale.

Chiamiamo shock culturale la sensazione di disorientamento personale che si prova quando ci si trova nella posizione di immigrato a contatto con uno sconosciuto stile di vita. A contribuire possono essere fenomeni come il sovraccarico di informazioni, la barriera linguistica  (legata anche alla capacità di reazione verso la nuova cultura), il gap generazionale ma soprattutto e ovviamente la nostalgia di casa. Può essere descritto attraverso quattro fasi ben distinte: viaggio di nozze, negoziazione, regolazione, e maestria.

1. luna di miele [honeymoon phase]
Durante questo - breve - periodo, le differenze tra la nuova cultura e la propria sono viste in una luce romantica;  ad esempio è facile apprezzare le nuove abitudini o i nuovi ritmi di vita, leggende narrano di immigrati che amano il cibo del nuovo paese, ma siamo sicuri che nessuno di questi fosse italiano. Durante queste prime settimane si subisce il fascino della nuova cultura e si cerca l'integrazione anche attraverso lo studio degli autoctoni. [A me è successo sia in Polonia che in Norvegia, soprattutto in Polonia durante il primo mese perché le uniche cose che sapevo erano reminiscenze universitarie dall'esame di storia contemporanea, quindi fotografavo e annotavo tutto].
2. negoziazione [negotiation phase]
Dopo le prime settimane, ed entro i tre mesi - così dicono - alcuni individui soffrono di ansia a causa delle evidenti differenze tra la cultura di partenza e quella di arrivo. L'eccitazione e la voglia di integrazione iniziali lasciano il posto alla frustrazione e alla rabbia, soprattutto se alcuni atteggiamenti vengono percepiti come offensivi nei confronti della propria cultura di partenza. La differenza nella qualità degli alimenti e la barriera linguistica sono i fattori principali (soprattutto se si parla di italiani all'estero: un lamento continuo). [Anche qui, mi è successo in misura maggiore in Polonia; nulla di offensivo verso la mia cultura, semplicemente non ero pronta a non avere un'estate per come ero abituata e ho provato molta frustrazione nell'impossibilità di imparare la lingua. In Norvegia invece la frustrazione era dovuta alla mancanza di lavoro].
3. regolazione [adjustment phase]

Fase successiva, dai 6 a 12 mesi, nella quale ci si è abituati alla nuova cultura e si sviluppa una sorta di nuova routine. Le abitudini e le reazioni che ci aspettiamo dal mondo esterno diventano normali e si inizia ad accettare la nuova cultura in modo positivo, in teoria si dovrebbe anche essere capaci di usare la lingua del luogo. Questa è la fase chiave in quanto è possibile osservare tre reazioni distinte: alcune persone
trovano impossibile accettare e integrarsi nella cultura straniera, che percepiscono ostile, quindi si ritirano e si ghettizzano (ejector); altri si integrano pienamente perdendo la loro identità originaria e spesso rimangono nel nuovo Paese (adopter); per ultimi troviamo chi si adatta agli aspetti che trova positivi nella nuova cultura pur mantenendo alcune delle vecchie abitudini, di solito non hanno problemi quando tornano a casa né a trasferirsi altrove (cosmopolitan). [La prima reazione mi è capitata in maniera maggiore in Polonia: dopo 7 mesi non riuscivo ancora a usare la loro lingua ma avevo accettato la possibilità di cenare verso le 16:00 - ogni tanto - e di sostituire la classica colazione all'italiana con cose come: uovo sodo, senape, wurstel, pane imburrato e prosciutto, il tutto affogato nel caffellatte. Amore totale verso la loro cucina e la birra con sciroppo di lampone. Qui in Norvegia è differente: cenare ogni giorno tra le 16:00 e massimo le 17:30 mi sta uccidendo lentamente, vedere cuocere la pasta senza sale e soprattutto non condita perché tanto si condisce nel piatto - con conseguente abbandono di pasta cotta in pentola per almeno cinque minuti, crea deboli ischemie al mio cervello tricolore; ma soprattutto non capirò mai perché, invece di bollire le patate in acqua fredda preferiscono coprirle di acqua bollente, bollita nel bollitore, con la convinzione di risparmiare energia. Per il resto posso dire di aver accettato ogni altro tipo di uso e costume, voglio imparare a sferruzzare e anche a pescare, cose da matti. Ancora non passo le domeniche camminando come una forsennata e non capisco perché sia necessario tutto questo burro e ogni tipo di salsina per cucinare - mi viene da dire per coprire i sapori, ma vabbè, del resto sono qui da circa 7 mesi, il mio metabolismo deve ancora adattarsi].
4. padronanza [mastery phase]
Questa fase è anche definita come del "biculturalismo", ci si è integrati nel nuovo Paese pur mantenendo le proprie peculiarità (come ad esempio non curare troppo l'accento nella nuova lingua e sembrare comunque italiani che scimmiottano) e lo shock culturale potrebbe avvenire una volta tornati nel proprio Paese d'origine.[Ovviamente in Polonia non sarei mai arrivata oltre la terza fase perché non era un posto che sentivo come mio o dove avrei mai potuto pensare di mettere radici; in Norvegia per me è ancora presto per analizzare questa fase, anche se molti mi hanno detto che parlo quel poco norvegese che socon un forte accento tedesco, quindi non capisco bene chi subirà il maggiore shock culturale. Ma, ahimè, non ci posso fare nulla, è il norvegese che gli somiglia e il tedesco è una lingua totalizzante].

Focaccia
Ingredienti:
- 300 ml di acqua
- 150 grammi di olio d'oliva
- 8 grammi di sale
- 3.5 grammi di lievito in polvere (o 12 grammi di lievito di birra)
- 1 cucchiaino di zucchero
- 250 grammi di farina 00
- 250 grammi di farina integrale
- 3-4 cucchiai di acqua

La ricetta si sviluppa in due fasi: nella prima si prepara la generica pasta per il pane, nella seconda la si trasforma nella focaccia. Innanzitutto voglio fare quella che se la tira tantissimo dicendo che invece di impastare a mano ho usato un'impastatrice, shame on me? [cantare seguendo questa melodia].
Come prima cosa io devo avvisarvi riguardo i tempi di preparazione: servono 4 ore tra l'impasto, la lievitazione e la cottura, quindi se non avete 4 ore da dedicare alla focaccia vi prego di lasciare la stanza. Stavo dicendo, prepariamo la pasta per il pane: mettete a scaldare l'acqua e intanto setacciate le due farine nella ciotola dell'impastatrice; create una fontanella (il proverbiale buco al centro) e versateci dentro il lievito disidratato sciolto nell'acqua tiepida insieme allo zucchero. Accendete l'impastatrice, la velocità minima è sufficiente e nel resto dell'acqua tiepida sciogliete il sale, versate anche questo composto sulla farina. Unite 50 grammi di olio versandolo a filo finché non sarà terminato e lasciate che l'impastatrice lavori fino a quando non avrete un impasto compatto.

A questo punto potete prendere la vostra palla di impasto e poggiarla su un piano infarinato per massaggiarla con movimenti audaci per altri 5 minuti, tirategli le guanciotte e se vi sembrano elastiche a sufficienza potete creare nuovamente una palla che riporrete in una ciotola infarinata (infarinate per bene sennò ve ne pentirete). Coprite il tutto con la pellicola trasparente e fate lievitare almeno due ore nel forno chiuso e spento - dalla regia mi comunicano che è possibile accelerare la lievitazione accendendo la luce del forno, ma perché dobbiamo usare questi sporchi trucchetti?

La pasta avrà raddoppiato il suo volume ed è pronta per cambiare casa: trasferitela su una leccarda foderata con un foglio di carta da forno e rimettetela a lievitare per un'altra ora a forno chiuso e spento; onde evitare che l'impasto si secchi ponete un contenitore con dell'acqua sul fondo del forno.
Adesso avete un bel po' di impasto e potete trasformarlo in focaccia. 
Ungete la leccarda con 4-5 cucchiai di olio e stendete la pasta lavorando con le dita (affondatele senza vergogna), usate il resto dell'olio sull'altro lato, copritela con un panno pulito e lasciatela lievitare ancora per circa 30 minuti in un posto tiepido e privo di correnti d'aria (sì, la cucina andrà benissimo).
Preriscaldate il forno a 250° e, trascorsi i 30 minuti, spruzzatela con 3 cucchiai di acqua tiepida, spargete del sale medio-grosso, il rosmarino e infornatela per 10-15 minuti, quindi tagliatela e mangiatela (se potete, con della mortadella).

Io non ero in possesso di rosmarino quindi ho usato un mix di erbe che ho trovato in cucina: pomodorini essiccati, origano, peperoncino, basilico, aglio e sale.
Del resto, non avendo utilizzato farina 00 e farina di manitoba come nella ricetta originale, non potevo certo aspettarmi il rosmarino. In ogni caso essendo la prima focaccia della mia vita posso dire che sia venuta molto buona (ovviamente la cosa ha suscitato la classica battuta "ah ma pensavo fossi italiana" alla quale ho risposto "sì, infatti io compro la focaccia al panificio" ma anche "quindi in quanto norvegese vai in giro con patate e salmone in tasca?"). Gli amabili resti della focaccia sono stati utilizzati - tagliati in opportuni cubetti - nella zuppa al posto dei crostini.