venerdì 30 novembre 2012

Ed è finita a feticcio, una stagione dopo

Mi sembra d'uopo fornire una spiegazione sul titolo degli ultimi due post per i nondialettoparlanti. C'è un modo di dire delle mie parti  che viene utilizzato quando si vuole intendere che qualcosa è andato storto, o male. Tale modo di dire  è "è finita a feto". Il resto potete immaginarvelo. Tutta questa manfrina di due post sul feticismo che ho sviluppato verso determinate pellicole è solo un'abile mossa per fornirvi una ricetta. Ebbene, l'altra volta ho solo introdotto la questione, stavolta vengo coadiuvata da questo gioviale Babbo Natale che si chiede come mai, già alla fine di Ottobre, sia possibile trovare decorazioni decembrine. Io dico no alle stelline, al rosso, al dorato e al pungitopo prima dell'inizio di dicembre, anche perché mi fa un po' specie passare la festa di Ognissanti canticchiando "leeescrismas aigheiviu maihart". Da un lato si sa che dopo Ferragosto il Natale è alle porte, quindi perché iniziare qualsivoglia dieta, dall'altro mi sembra di vivere in un mondo di zombie dove io, appena tornata su dalla mia fossa, regalo il mio cuore a qualcheduno, al primo che passa. Torniamo ai film che devo vedere ogni anno. Vi chiederete perché mai non vi dono la lista dei libri che leggo ogni anno (sì, lo so, se non svio dall'argomento principe ogni due righe non sono contenta) e la risposta io ve la do: leggo un solo libro ogni anno ed è la mia unica tradizione natalizia (La freccia nera n.d.r.) e in un'ora e mezza riesco a rivedere un film, coi libri impiego più tempo. Per l'appunto, i film. Sono sul filo del rasoio sia per fornirvi la lista dei film che guardo ogni anno in preparazione ad Halloween (e no, non starò qui a spiegarvi perché la concezione di festa americana sia totalmente erronea) che per regalarvi l'esperienza dolciaria migliore della vostra vita - o, quantomeno, quella migliore da preparare a casa una volta l'anno. Sarò banale - sì - ma ogni anno guardo in fila per tre col resto di due: Beetlejuice (1988, con una giovanissima Winona Ryder), un inedito Tim Burton pre-era Johnny Depp, seguito dalla tripletta Edward mani di forbice (1990)Nightmare Before Christmas (1993) e Il mistero di Sleepy Hollow (1999). Per variare un po' torno indietro nel tempo e ripesco un film della Disney con una giovane e sconosciuta Sarah Jessica Parker e una altrettanto sconosciuta (e molto molto molto giovane) Thora Birch - avete strabuzzato gli occhi ed esclamato "chi?", dai su che la conoscete, è la figlia di Kevin Spacey in American Beauty - adesso avete detto "aaaaaah" annuendo -; il film in questione è Hocus Pocus (1993) e nemmeno io ricordo quante volte l'ho visto coi miei fratelli. Concludo in bellezza con La sposa cadavere (2005) e Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007) - ancora ricordo con stupore le ragazze al cinema che non avevano idea di cosa aspettarsi e che nemmeno a metà film si sono alzate e sono andate via, schifate. Troppo sangue. Sangue finto. Talmente finto che nemmeno era salsa di pomodoro, aveva la consistenza del Lacquer Rouge Carat della Chanel. Lista dei film per la festività in questione conclusa, torniamo all'argomento principe ovverosia l'incalzare delle festività che ci impedisce di godere appieno bla bla bla bla. Tutte palle. Tutte storie. Tutte manfrine. C'è una cosa che devo fare ovunque io mi trovi: mangiare le Rame di Napoli nel periodo compreso tra l'ultima settimana di ottobre e la prima di novembre. Questo perché è ancora l'unica cosa, assieme alle chiacchiere carnascialesche, che si trova in determinati periodi. Per cui non esiste festa dei morti senza le Rame di Napoli (per la cronaca non ho ancora capito perché si chiamino così, visto che a Napoli non hanno idea di cosa siano). La ricetta originale prevede un velo di marmellata di arance tra il biscotto e la glassa, quindi se avete voglia, usatela però, percaritàddiddio non sostituitela con la Nutella.

Rame di Napoli
Ingredienti:
- 1 kg di farina 
- 500 grammi di burro
- 500 grammi di zucchero
- 6 uova
- 8 cucchiai abbondanti di miele
- 250 grammi di cacao amaro
- 30 grammi di lievito
- 2 bustine di vanillina
- 2 bicchieri di latte
- 2 limoni
- 6/8 chiodi di garofano
- 2 cucchiaini di cannella
- 800 grammi di cioccolato fondente

Ammorbidire il burro e lavorarlo con lo zucchero (con un cucchiaio di legno, una frusta a mano oppure con le mani) fino a farlo diventare cremoso; aggiungere la farina e le uova. Impastare tutti gli ingredienti come per una normale frolla. Anche per questo motivo è bene impastare sin dall'inizio con le mani. Attenzione: sono previsti cirrostrati di farina sui vestiti, sul tavolo, sugli altri ingredienti. Non disperate, è normale.
Aggiungere il cacao setacciato e continuare ad amalgamare gli ingredienti (con un cucchiaio o le mani). Aggiungere il miele e la vanillina. Attenzione, se avete già notato una rivolta con nuvole di farina, il cacao farà la stessa cosa. Sono previsti quindi cumulonembi di cacao sui vostri vestiti. Il composto vi sembrerà piuttosto duro ma non disperate, non aggiungete altre uova o ulteriore burro. 
Intanto scaldate il latte con la buccia dei limoni, la cannella e i chiodi di garofano.
Quando si è intiepidito filtrate e aggiungete il lievito precedentemente setacciato (attenzione perché il lievito tende a reagire, aumentare e fare la schiuma). Attenzione di nuovo, dopo il cumulonembo di farina e il cirrostrato di cacao, anche il latte potrebbe pensare di creare una precipitazione. Continuate a non disperare e impastate. Il composto alla fine dovrebbe risultare cremoso.
Per fare la forma delle Rame basta prenderlo a poco a poco e lavorare le palline con due cucchiai a formare delle polpettine allungate (traduzione plebea della quenelle).
Distanziate le polpette, poiché in forno tendono a lievitare e se non c'è spazio a sufficienza si attaccheranno tra di loro. Vanno in forno preriscaldato a 180° per 10/12 minuti.
Come ultimo passo sciogliete a bagnomaria il cioccolato fondente precedentemente spezzettato e, per evitare che si addensi troppo, mettete un po' di burro. Bagnate le rame superiormente e guarnite con pistacchio in polvere (se ce l'avete, sennò fate senza come me, non muore nessuno). 
Lasciare addensare la glassa e servire. Con questa dose sono riuscita ad avere quasi 80 biscottoni.







sabato 3 novembre 2012

Ed è finita a feticcio


Una volta la vita era scandita dalla ciclicità di alcuni fenomeni come la presenza (o meno) di alcuni tipi di frutta e verdura. Tale reperibilità spesso influenzava anche la preparazione dei proverbiali piatti tipici. Il piatto tipico di solito veniva anche associato a una determinata festività. (certo, accadono cose strane come trovare tra le pietanze estive una focaccia rinforzata e ripiena di formaggio e salame, cotta in compagnia di strutto e pancetta solo perché i fiori di sambuco si trovano solo in estate, ma non sindachiamo le stranezze della natura sennò mi tocca chiamare nuovamente Superquark e sono in tanti e ho appena pulito, non ho le pattine per tutti). Poi è arrivata la televisione.E la pubblicità.E i film, sempre quelli, sempre negli stessi periodi. Era bello quando dopo ferragosto iniziavano a trasmettere la pubblicità degli zaini, degli astucci, dei diari (cito utilizzando il lessico imparato a memoria durante i duri anni della gioventù tra un cartone animato e un altro). No non era bello, perché ti ricordava che di lì a poco sarebbe ricominciata la scuola; col senno di poi (di adesso) mi permetto di dire che era meglio prima, perché adesso finisce la scuola e già a metà giugno ricominciano a bombardare i giovini virgulti con le réclame dei loro beniamini (da leggere con tono da vecchia nostalgica, sottotitolo "si stava meglio quando si stava peggio e potevamo anche lasciare le porte aperte"). Ma non divaghiamo, torniamo alla nuova ciclicità degli eventi scandita dalla televisione e come questa stia ancora influenzando in qualche maniera la mia vita. Non passava natale senza aver visto Il piccolo Lord (classe 1980)Mamma ho perso l'aereo (1990)Pomi d'ottone e manici di scopa (1971, con una rampante Signora in giallo). Menzione speciale per il 24 o il 25 dicembre, tanto per fare tardi al pranzo o alla cena: Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (a scelta tra l'originale del 1971 oppure il remake del 2005). Qualcuno mi dice che ogni anno trasmettono Una poltrona per due, ma io non l'ho mai visto, quindi non posso garantire la veridicità dell'affermazione. Infine, visto che tra il piccolo Fauntleroy e il nuovo Willy Wonka ci troviamo nel regno del caschetto, mi permetto anche di scatenare i vostri incubi con Fantaghirò, una bellissima serie fantasy dagli effetti speciali strabilianti che, negli anni, è stata declassata dalla prima serata, al pomeriggio, per poi passare a serie notturna. Insomma tutta questa pappardella per dirvi due cose: io ogni anno devo guardare una determinata serie di film (non temete, ora li elenco) e che tutto il mondo è paese, quindi questa lista di film natalizi è uguale dappertutto.
Siccome non sono assolutamente un tipo abitudinario non ho idea di quali siano i film che ogni anno devo vedere e non ho sviluppato una tendenza al feticcio filmografico, pena il senso di colpa che va ad alimentare il reflusso gastroesofageo, con conseguenti bruciori di stomaco, tosse e quant'altro.
Quest'estate non ero in Italia, quindi non ho potuto godere della consueta programmazione televisiva. Un giorno di ottobre come un altro mi sono resa conto di aver saltato la visione di Dirty Dancing. In effetti mi mancava qualcosa, quel senso di soddisfazione nel vedere la bruttina seria di turno che riusciva a sopravvivere al villaggio vacanze pullulante di animatori, imparare a ballare e così ad attirare nella sua tela l'aipoche istruttore di ballo trasformandolo nel salvatore della patria con tanto di frase ad effetto 
"Nessuno può mettere Baby in un angolo" (respirate, non ho messo la punteggiatura apposta per alimentare la suspance). E non ho nemmeno visto Sapore di mare, filippica delle estati in Versilia, tra balli di gruppo e gruppi di giovani che cantano canzoni del tempo che fu, quando ancora il De Sica figlio non si era del tutto rimbambito. Spettacolare revival culminato dalla battuta di carattere dadaista-filosofico "Pizza fredda e birra calda, sempre tutto al contrario" messa in bocca alla Giorgi durante un simposio in compagnia di un Massimo Ciavarro che passava di là. Questo mi porta indietro nel tempo, alle mie vecchie estati passate rinchiusa nella casa di montagna e con una tv (non vi dico la cultura di commedia sexy all'italiana che mi sono fatta) e con i conseguenti film: Grease, la storia più vecchia del mondo (fai il bullo con gli amici, prendi una donna, trattala male, lei per il dolore si trasforma in un troione e tu torni da lei); Il tempo delle mele, ovvero come instillare l'odio verso la Francia con questa adolescente troppo figa che limona (mentre tu figa non sei); Laguna blu, perché se con Georgie non eravamo riusciti a capire bene l'incesto tra fratelli non consanguinei, qui stiamo proprio mettendo le cose in chiaro (punto di merito però perché solleva l'annosa questione del menarca). E a proposito di adolescenza, non poteva certamente mancare la doppietta Sixteen Candles e Pretty in Pink (rispettivamente 1984 e 1986): questi li trasmettevano a distanza così ravvicinata che li ho sempre confusi creando delle commistioni di trame e attori che non vi dico.
Per queste due stagioni è tutto, andate in pace. O in cucina.


Lasagne con salmone e porro
Ingredienti:
- 1 uovo
- 1 bicchiere di farina
- 1 bicchiere di latte
- aneto q.b.
- 1 confezione di salmone affumicato
- 1 porro
- 2 confezioni di panna
- pepe nero q.b.
- noce moscata q.b.
Mescolate l'uovo con il bicchiere di latte, quindi aggiungete la farina setacciata. Mescolate con cura e prestando attenzione: il grumo è sempre dietro l'angolo e non ci sono le Tartarughe Ninja a salvarvi. Aggiungete l'aneto all'impasto e un pizzico di sale (quanto aneto? Quanto vi pare). Lasciate il composto a riposare per un'ora, coperto e in frigo.
Perché vi faccio preparare il composto per le crêpes? Perché avevo voglia di lasagne e non avevo voglia di impastare o di andare a comprare le lasagne precotte. Scaldate un po' di burro e iniziate a preparare le vostre crêpes (io che non possiedo una padella antiaderente e il detto afferma che "chi nasce tondo non muore quadrato" e allora ho preferito farle direttamente a forma di teglia, un mestolo e mezzo di composto all'incirca).
Giratele da un lato, dall'altro, cuocetele per bene. Io le ho fatte un po' più spesse, voi potete usare meno impasto e creare più strati di lasagna.
Quando avete finito con le crêpes passate al porro: mondatelo, tagliatelo a fettine sottili, stufatelo in padella con un po' di dado finché non sarà morbido.
Composizione della lasagna con dovuta premessa: lo so che avrei dovuto preparare la besciamella ma non avendo gli strumenti adatti come una buona pentola e una bilancia, la prima volta che la preparo qua preferisco farla per bene e non quando non ho voglia di uscire a comprare ulteriori ingredienti. Prendete la panna e aggiungete della noce moscata tanto per illudervi come me di avere della besciamella. Quindi spalmatene un po' sul fondo della teglia, aggiungete una crêpe, il salmone, nuovamente la panna e il porro. Continuate così finché volete. Ultimo strato di panna con spruzzatina di pepe nero e infornate a 200° per 15 minuti.

domenica 14 ottobre 2012

Age of consent - Ho l'età o non ho l'età

So di non essere da sola, lo sento. So di non essere l'unica che si rende conto di pensare o agire in determinate maniere per poi sentire una vocina nel cervello esclamare "machedavero?". Sì cavoli, davvero. E adesso mi rendo conto che tutto inizia qualche anno fa quando decido che non potevo più fare la vita da universitaria dissoluta e che dovevo mettermi di buzzo buono per laurearmi: basta uscire ogni sera e tornare a orari improponibili, ci si alza la mattina a orari decenti e si va in emeroteca a studiare, niente uscite infrasettimanali, si esce il venerdì, o il sabato, una sola volta a settimana sennò "poi mi stanco troppo e la mattina chi si alza per studiare?". Primi segnali di anzianità rispetto al liceo, quando si andava a dormire quando albeggiava perché The Sims ti aveva tenuta sveglia tutta notte, e chi se ne frega se dormo solo 3-4 ore, sono giovane, ce la faccio. Segnali che avevo ignorato perché pensavo fossero una conseguenza della decisione di cui sopra. Adesso però sto facendo due più due e mi sto terrorizzando. Sto diventando grande, a tratti sto anche diventando vecchia...
Atto I: sono le sei e mezza del mattino e io sto camminando per raggiungere la fermata dell'autobus bardata di tutto punto perché ci sono 15 gradi e devo raggiungere le mie vacanze. Mentre cammino un pensiero si fa strada improvvisamente "ma non ho spazzolato la giacca". Problema I: quando mai prima ti è mai importato dei pelucchi sulla giacca o sui pantaloni? Ma tant'è, faccio outing: ho comprato la spazzola per i vestiti, una cosa che avevo sempre usato a casa ma che mai avrei pensato di comprare per me. La spazzola iniziamo a usarla perché si è grandi o perché si è vecchi?
Atto II: osservo le mie scarpe e penso che il loro colore sia un po' spento. Problema II: è una vita che quegli anfibi chiedono pietà e di essere lucidati e tu no, imperterrita. Altra confessione: ho comprato il lucido per scarpe. Non per gli anfibi, sia chiaro, ma per le scarpe che uso al lavoro, gli anfibi sono la mia comfort zone, la mia coperta di Linus, la certezza che ancora non sono troppo vecchia, quindi sporchi sono e sporchi rimangono. Il lucido da scarpe ci serve perché si è grandi o perché si è vecchi?
Atto III: classica unghia rotta, classica situazione in cui indossi i collant e temi di dilaniarli in una maniera che nemmeno i Sex Pistols avrebbero potuto. Epifania! Problema III: jeans strappati? Maglie bucate? Signori perdonatemi ma ho comprato un kit da rammendo. Il pensiero di un bottone mai più riattaccato o di una calza lievemente bucata mi ha donato brividi per tutto il corpo. La necessità del kit da cucito è sintomo di maturità o di anzianità?
Atto IV: sempre in tema di scarpe sto diventando sempre più Cenerentola. No, niente scenari romantici, semplicemente ogni 2 minuti rischio di cadere in ogni punto dell'ufficio perché, dopo anni di scarpe da tennis e anfibi, sono abituata a camminare non curandomi di poter perdere le scarpe e allora lancio il piede verso il suolo come capita prima. Problema IV: usare le ballerine e cadere davvero in ufficio oppure perdersi le scarpe sulle scale. Usare le ballerine fa di me una persona matura al lavoro oppure terribilmente anziana? In questo caso, credo, nessuna delle due, mi rende solo ridicola, soprattutto quando cado come se avessi 1 anno.
Atto V: mi alzo ogni mattina verso le 7:30, quindi massimo alle 23:00 cerco di essere sotto le coperte. Problema V: non riesco più a stare sveglia oltre determinati orari. Questo mi rende grande o vecchia? Solo vecchia, fidatevi, perché la conseguenza è che, assieme alla questione "non esco nei giorni feriali" si è aggiunta anche quella "qualsiasi cosa faccia, devo essere a casa massimo a quell'ora perché poi devo dormire, perché sennò l'indomani al lavoro non capisco niente". Tristezza? Non è finita qui. Ormai i bioritmi sono andati a quel paese, quindi anche il sabato e la domenica non riesco a stare troppo a letto oppure fare troppo tardi. 
Atto VI: mi trovo in un locale per vedere un concerto e mi chiedono se voglio una birra. Qualche anno fa non avrei potuto che dire sì. Invece stavolta ho detto di no. Problema VI: non bevo più tanto quando sono fuori perché il pensiero di dover cercare e poi usare un bagno pubblico non mi rende un belgioioso. Quindi basta anche ai fiumi di birra. Sono vecchia o sono matura?
Atto VII: ogni tanto, da qualche anno, mi concedo l'estremo lusso di comprare dei vestiti che non siano neri. Problema VII: non starò esagerando coi colori? Cos'è tutta coquetterie? L'unica ragione è che ormai sono sufficientemente grande per non dover dimostrare determinate cose e per non prendermi troppo sul serio. Quindi se voglio comprare vestiti color ottanio, viola, bordeaux oppure indossare una collana con un coniglietto (ahem, nero) che mi fa sentire tanto Alice nel Paese delle Merdaviglie, io lo faccio, ok? Sì, probabilmente questa cosa non mi rende vecchia, solo grande.
Atto VIII: cosa fai durante un sabato mattina di un weekend toccata e fuga a casa di amici che sono anziani quanto te? Siccome siamo cresciutelli per organizzare cose speciali da fare assieme e siccome non abbiamo bisogno di gesti plateali per dimostrare il valore del rapporto, anche se sono nove mesi che non ci si vede l'unica cosa da fare è mettersi sul divano a guardare programmi di cucina con una maschera all'argilla in faccia (questo, per la cronaca, ci rende grandi e maturi). Che poi a stessa sera dopo il concerto si torni a casa (verso le 23:00) a guardare cartoni animati e mangiare pizza e sandwich con nutella e burro d'arachidi, sorseggiando the da tazze nerd non è un altro paio di maniche, è lo stesso, solo che è un po' da anziani, dato l'orario, e un po' da grandi (ah, il lusso del cartone animato alle 23:00 mangiando quel che si vuole).
Atto IX: dormire con qualcuno. Se all'inizio è una cosa scomodissima ma che si vuole fare, costi quel che costi, pure se fa caldo; se dopo un po' ci si abitua del respiro dell'altro sulla faccia (e solo io so quanto la cosa mi infastidisca), si trova una posizione e si fa perché fa piacere, dopo un po' non si sente più il bisogno. Un po' perché non si deve più dimostrare niente, un po' perché scatta la tecnica del piedino appoggiato dove capita prima. Trovo che sia un segnale: non dormiamo appiccicati ma quel piede lì vuol dire che sono qua, che in caso, se ne avessi voglia, puoi anche abbracciarmi. Questo ti rende grande finché non decidi di dormire in stanze separate perché sei anziano e non vuoi che ti si disturbi mentre dormi (in pratica io mi prendo pause dalla mia condizione di anziana).

Per fortuna non smetto di fare cose stupide come entrare nel panico o fare figuracce imbarazzanti e per fortuna ancora non ho iniziato a stirare o a separare i bianchi dai colorati. Quest'ultima azione potrebbe significare l'inizio della fine. Per fortuna ancora mi diverto ad alzare polveroni per polemiche fini a se stesse e per fortuna non devo ancora prendere decisioni importanti, quello sì che sarebbe da persone grandi e mature.


Polpette di grano saraceno:
Ingredienti:

- 200 grammi grano saraceno
- 1 dado
- 1 scatoletta di tonno
- 3 uova
- mix di spezie: aglio, pepe nero, maggiorana, timo, salvia, coriandolo, timo, prezzemolo, rosmarino (insomma, quello che più vi piace)

Prendete una sera in cui siete annoiati e volete preparare qualcosa per il pranzo dell'indomani. Ponete il caso che non avete troppi ingredienti in casa. Ehi, ma ho delle granaglie in casa che non ricordo nemmeno cosa siano. Ta-dan! Google translator - tippitippitippi - ah, grano saraceno, pazzesco.
Prendete il grano saraceno e fatelo bollire in acqua salata con un dado (non vi dico la cottura perché suppongo che dipenda dal tipo di grano che comprate, il mio ci ha messo 20 minuti). Scolatelo e mentre si raffredda pensate a cosa potreste farci. Ma sì, ci metto una scatoletta di tonno, ma no, non elimino l'olio in eccesso. Mescolate bene e poi aggiungete le uova. Io ne avevo 3, all'inizio ne ho messe solo 2 anche perché non potevo sapere a priori della consistenza. Poi ho pensato "vabbè, povero uovo, rimane da solo".
Riscaldate il forno a 180°. Mettete la carta forno sulla teglia e con le mani create delle pallette che schiaccerete leggermente una volta adagiate.
Infornate per 15 minuti. A metà cottura però girate le polpette, io non sapevo come e se si sarebbero cotte da entrambi i  lati in quanto era la prima volta che mi cimentavo (ovviamente servitele con la salsa all'aglio di cui vi ho già parlato ). A me sono venute 17 polpette, il che è un problema per il mio cervello malato, perché 8 sulla teglia ci entravano perfettamente, ma non potevo infornare una terza volta per una sola polpetta, quindi ho dovuto fare spazio.



lunedì 24 settembre 2012

Cara, non voglio leticare

La follia della donna non è tanto quel bisogno di scarpe che non vuole sentire ragioni - che poi i sabot sono pure brutti. La follia della donna non è nemmeno la totale schizofrenia (o semplice confusione che non sarà perché ti amo ma perché l'ovaia prende il sopravvento) che prendi una donna, trattala male e vedi che funzionerà - perché sogni il principe azzurro ma spesso scegli il pirata (non è mia, è di Gionni Dep). No.
La follia della donna è: tu uomo non riconosci la differenza tra un grigio tortora e un grigio topo, non hai idea di cosa sia il color malva, eppure se producono delle penne apposta per noi - penne dal piumaggio variopinto che nemmeno il pavone della National Geographic - noi ci arrabbiamo, eh sì. Cattive penne! Il fatto che ci sia ancora in giro la credenza - ma pure il comodino e la scarpiera - che i maschi non siano capaci di rifarsi il letto o di rammendare un calzino nonostante siano dotati di due braccia e due mani come tutti gli esseri umani invece... ma sì, mamme, lasciatelo stare sul divano, tanto poi sono cavoli di chi se lo piglia. Sì. Chi se lo piglia?
Lo so, la notizia è piuttosto vecchia però mi serviva un incipit, e che ci volete fare... L'incipit è: cose per le quali mi viene da sogghignare e che sono facili spunti per le femministe dell'ultima ora.
No, non citerò la famosa battuta della chiave che apre ogni serratura o della serratura che si apre con ogni chiave. Vi racconterò un fatto realmente accaduto.
Qualche tempo fa l'azienda per cui lavoro (ullallà che inizio di frase altisonante) ha deciso di donare a ogni dipendente dei tubi di integratori di vitamine. All'inizio ho pensato "ma perché devo bere questa roba", poi mi sono guardata attorno, mi sono ricordata della frutta vera che non mangerò e ho nicchiato, in fondo, male non possono farmi, vero? Ditemi che è vero anche se ormai è troppo tardi...
Il dono includeva ben due tubi di multivitamine, uno al sapore di frutta, l'altro con aggiunta di ginseng, un tubo di potassio e un tubo di magnesio. I primi due so a cosa servono, il potassio è una perenne mancanza poiché mi trovo spesso a tirare le dita dei piedi per risolvere i crampi notturni ma il magnesio, il magnesio, a cosa serve? Boh, a qualcosa servirà, dico tra me e me... Caro amico ti scrivo - Google. La pagina di Wikipedia recita "In natura non esiste allo stato libero, ma si trova complessato con altri elementi" percaritaddiddiono! Il magnesio single no! Gira gira gira, sfoglia sfoglia sfoglia, ah sì, ma guarda il magnesio è utile nei processi metabolici essenziali, uh serve a combattere nausea, stress, depressione. Insomma migliaia di siti che ti spiegano il perché, il percome, dove lo trovi, quando lo assumi... finché. Sedetevi. No dico sul serio.
Finché non trovo la dicitura "tipici problemi femminili". Mi si stampa la maschera del Joker in faccia (beh sì, pleonasmo, dove sennò?). Invece di scrivere sindrome premestruale, gravidanza, menopausa, preferisci lasciare l'informazione aleatoria? Il mio cervello produce fantastiche immagini di tipici problemi femminili come:
- sistemazione compulsiva della cucina in preda a un attacco da casalinga disperata
- collocazione cromatica dei collant, così, tanto per terrorizzare ulteriormente l'altro sesso
- imposizione dell'etichetta "quella puttana lì" riferito a ogni essere di sesso femminile che aleggia attorno al paio di pantaloni a cui sono interessate. Sì, pure la madre. Anche la sorella. La cugina. La nonna no.
- convinzione che "se cammino come un gambero lui non si accorge della cellulite" (lo so che avete grossa fiducia nei miei confronti ma questa non me la sono inventata, l'ho letta davvero e vi devo svelare un segreto: se camminate all'indietro nel tragitto tra il letto e il bagno i fattori sono due; il primo: non gliene frega niente della cellulite, ha già fatto una tac. Il secondo: visto che vi ha già fatto la tac sa della vostra cellulite, quindi non camminate come delle idiote - più facile a dirsi che a farsi?).
- ragionamento che vi porta a dedurre che un taglio di capelli coinvolgerà il cambiamento della vita intera
- visione idilliaca del ciclo concomitante con quello della vostra amica. Certo, tanto per litigare meglio, aggiungo io.

Se volete continuo. In ogni caso una delle volte in cui mi sono davvero vergognata di appartenere al genere femminile è stato quando hanno tirato fuori la notizia di quei casi di ebeti finite in ospedale per aver ingerito il Tantum Rosa. Va bene che il Tantum Verde va usato per via orale, va bene anche che abbiamo tre paia di labbra. Ma leggere il bugiardino? No. Evidentemente l'odore della tintura per capelli fa male.
Vi ho tediati fin troppo, e voi, femmine, che ci fate davanti al computer? Correte in cucina! Questa volta niente Polonia, questa volta si va nel Regno Unito con tanto di striscione "Cenerella, stirami l'Inghilterra". Ho trovato ogni versione possibile et immaginabile e ho deciso di usare la versione usata sul sito bbcgoodfood (ovviamente data la mancanza di alcuni ingredienti e il mio disgusto verso i piselli - oh sì miei prodi, scatenate l'inferno di battute) - la ricetta che vi chiedo di seguire è quella sul sito, mentre quella che vi do adesso è la mia versione.

Cottage Pie:
Ingredienti:
- 500 grammi di macinato
- 1 cipolla
- 3 carote
- 1 spicchio di aglio
- un bicchiere di vino
- 1/2 cucchiaio di concentrato di pomodoro
- 6 patate
- burro q.b.
- latte q.b.
- alloro
- erbette di provenza
- olio

Se, come me, non possedete un mixer, allora fate affidamento alle vostre capacità di disturbo ossessivo compulsivo e tagliate la cipolla e la carota nella maniera più fine possibile. Dopo aver perso mezzo pomeriggio, mettetele in padella a sfrigolare con dell'olio, fiamma media, mi raccomando. Siccome non mi va di usare troppo olio, dopo un po' aggiungo dell'acqua. Per salare sta a voi: sale o dado, per me è indifferente. Dopo un 20 minuti dovrebbero essere sufficientemente morbide, allora aggiungete il macinato (che in teoria dovrebbe essere solo vitello, ma io avevo comprato quello misto, vitello e maiale).
Durante quei 20 minuti sbucciate le patate, tagliatele a tocchetti, mettetele a bollire (non dimenticate di salare l'acqua). Quando potrete infilare i rebbi nella patata come il proverbiale grissino nel tonno, scolate, rimettete i tocchetti in pentola e tornate dalla carne.
Sfumate con mezzo bicchiere di vino rosso, aggiungete un paio di foglie di alloro, le erbette, lo spicchio di aglio (vi consiglio di schiacciarlo e di rimuoverlo prima di mettere la carne nella teglia), il concentrato di pomodoro e lasciate cuocere per altri 20-30 minuti, o comunque finché il sughetto si sarà rappreso.
Durante quei 20-30 minuti schiacciate le patate, aggiungete il burro e il latte (insomma fate il purè). Se per qualche stella posizionata bene doveste avere della noce moscata, usatela, sennò fate come me e tristemente vi rendete conto che non avete idea di come si dica noce moscata in polacco e decidete di farne a meno.
Prendete una teglia, imburratela (oppure usate la carta forno, ahem), ponete la carne e copritela con lo strato di purè. Infornate a 200° per 20 minuti. Se avete del cheddar, usatelo sul purè per creare quella soddisfacente crosticina che tanto ci piace. Sennò, che ve lo dico a fare, fate come me. Niente cheddar, niente crosticina.
Dopo 20 minuti tirate fuori la teglia dal forno, lasciate raffreddare per un po', tagliate et gaudete!

venerdì 24 agosto 2012

Alla carlona

Per chi non conoscesse questa striscia, vi presento Get Fuzzy, storia di una convivenza tra un gatto, un cane e il loro padrone. Ho iniziato a leggere le storie di questo cinico gattino (pleonasmo) nel lontano 2002 su uno di quei giornali gratuiti che si trovano nelle grandi metropoli. Traggo ispirazione della striscia per giustificare il solito delirio pre-ricetta. Anche io, come Bucky, cerco di rendere il mondo un posto migliore. Oggi ho deciso di donare della sapienza saltando di palo in frasca. Innanzitutto il titolo: alla carlona. Ricordo di aver imparato questo modo di dire alle elementari. Perché si dice alla carlona? Perché la leggenda vuole che Carlo Magno fosse un re dalle maniere poco raffinate, un tipo pragmatico che poco badasse alle apparenze e che una volta abbia ricevuto qualcuno (non ricordo chi) in tenuta da caccia, dopo essere tornato dalla  sopracitata battuta. Da qui, alla carlona. Perché il numero 17 porta sfortuna? Perché se provate a scriverlo coi numeri romani e lo anagrammate otterrete il passato di vivere (XVII > VIXI). Altro giro, altro aneddoto. I denti della forchetta si chiamano rebbi, la parte bianca delle unghie si chiama lunula, abbiamo un muscolo nell'interno coscia che si chiama gracile e se la mattina vi svegliate con almeno una delle due braccia in preda al formicolio, sappiate che Casper ci ha mentito. Il formicolio si chiama parestesia e a quanto pare stavolta non è causata dalle posizioni strambe che assumo durante il sonno ma dagli antibiotici (a proposito, perché formicolio si scrive senza ì? A me piace usarla). Il bicchiere della staffa invece non viene servito in un bicchiere a forma di stivale, bensì nasce dall'usanza di bere il sorso del congedo quando si ha già un piede sulla staffa, pronti a tornare a casa. Secondo i dati in nostro possesso non sono solo i genovesi e gli ebrei i proverbiali risparmiatori, poiché se si riesce a usufruire di qualche servizio in maniera gratuita si può dire di aver fatto come i portoghesi (storia vera secondo la quale l'ambasciatore portoghese a Roma invitò i connazionali ad assistere a uno spettacolo e per entrare senza pagare bastava dichiarare di essere portoghesi e i romani, che arraffano dove possono dai tempi del ratto delle sabine, non hanno esitato un secondo sul da farsi), anche se alla luce dei fatti sarebbe più corretto dire fare come i romani che si sono spacciati come portoghesi, il detto è rimasto così com'è. Scoperte recenti: ultimamente ho visto l'Otello e l'Enrico V curati da Kenneth Branagh (che Dionisio, Talia, Melpomene e Polimnia ti abbiano sempre in grazia). Innanzitutto, il nome Otello deriva da una delle rune, Odal, Othila, Othala, il cuo significato è proprietà, possesso. Non mi stupisco del perché Guglielmino abbia scelto proprio quel nome per il protagonista della tragedia che narra della bestia dagli occhi verdi che vilipende la carne di cui nutre. Nell'Enrico V invece c'è un giovanissimo Christian Bale nel ruolo di scudiero (un po' come Semola ne La Spada nella Roccia). Trama dell'Enrico V: il re decide di iniziare una guerra per conquistare la Francia, solo che a me sembra una scusa per poter sposare la figlia dell'altro re. Il dubbio che mi pongo è: io ho sempre tifato Inghilterra, ma un francesista, in questi casi come fa? 

Zapiekanka 
Ingredienti:
- 1 baguette
- funghi
- 1 dado
- salame
- formaggio
- salsa all'aglio

Si dice che ogni popolo si riconosce dal tipo di cibo da strada che ha. Non ricordo dove l'ho sentita o dove l'ho letta, ma si dice così e vox populi, vox dei. Avete già avuto modo di leggere le lodi che ho tessuto per la cucina polacca in generale, quindi non mi dilungherò eccessivamente. La zapiekanka (zah-pieh-khan-kah - e questa parola si legge proprio come si scrive, deo gratias) è una validissima alternativa al kebab notturno. Stando alle fonti, la ricetta originale è la seguente: baguette, funghi trifolati, formaggio e ketchup, però ho visto molte varianti e visto che non sono membro del Ketchup Appreciation Society ho preferito basarmi sulla creatività.
Lavate i funghi, tagliateli a fettine e metteteli in padella con un filo d'olio, un dito d'acqua e copriteli. Rimestateli di tanto in tanto e, quando avranno sudato a sufficienza, aggiungete un dado. Mentre i funghi si cuociono tagliate la baguette in quattro parti uguali e adagiatevi le fette di salame (io non ho voluto strafare, per non lasciare che un sapore prevalesse sugli altri). I funghi a questo punto dovrebbero essere pronti, allora accendete il forno a 180°-200°, prendete la vostra teglia (non dimenticate la carta forno sul fondo) e ponete i vostri pezzi di baguette.
Aggiungete i funghi, vi consiglio di non strafare onde evitare cadute a cascata di funghi sui vostri vestiti, e il formaggio. Capitolo formaggio: per strada ho visto che usano una sorta di "mozzarella", io avevo del formaggio Morski (del mare, perché e come fanno il formaggio del mare?) e ho usato quello.
Infornate per circa 15 minuti, o perlomeno fin quando il formaggio non vi sembra sufficientemente sciolto e il pane sufficientemente croccante. Adesso tocca alla grande variante: in teoria, sulla vostra calda zapiekanka appena sfornata ci andrebbe il ketchup, io ho preparato per l'ennesima volta la salsa all'aglio e me la sono goduta fino all'ultimo morso. Ovviamente il piatto andrebbe accompagnato con una birra, ma io ero a casa e non avevo voglia di andare fino al supermercato, indi poscia per cui ho irrorato con acqua.

mercoledì 8 agosto 2012

Ma se serve vi porto i dischi...


Genesi del post: un caldo - e umido - sabato polacco, ora di pranzo e coinquilino spignattante. Decido di condividere quello che stavo ascoltando, vale a dire un mix di canzoni dei Roxette. Nonostante l'iniziale, e a mio avviso incredibile, affermazione "no, non conosco i Roxette", quando partono le prime note di "It Must Have Been Love" mi incita ad alzare il volume perché la canzone è bella (la conosce) e perché gli ricorda quei gioiosi momenti in cui, alle feste, scatta il momento del ballo lento al culmine (o per meglio dire, il culmine) del quale le mani scivolano improrogabilmente verso quella massa di adipe e muscolo meglio conosciuta come gluteo femminile.

Momento d'epifania: possibile che tutte - ok, non tutte ma la maggior parte, facciamo un 95% - le canzoni adatte per ballare i lenti, siano in realtà un inno agli amori finiti? La celebrazione degli amori finiti in maniera straziante? L'epinicio dell'agonia provata durante il momento del rifiuto che precede l'accettazione del trauma? Con un tono degno della figlia di Alberto Angela mi chiedo: è mai possibile che tutte queste canzoni  che in teoria bisognerebbe ascoltare per lenire le ferite di un cuoricino sanguinante - che se lo vedesse la Pausini ci farebbe un triplo cd - in un momento di post-separazione siano in realtà la chiave dell'avvicinamento tra due esseri umani? Partendo dal presupposto che tutto è Dada e che quindi A è anche non-A, nel dubbio io chiamo la troupe di Superquark.
Addentriamoci nei meandri della memoria, dove noi, figli degli anni 90 cresciuti a suon di film adolescenziali e di racconti di provincia a cura degli 883, iniziavamo a barcamenarci nei rapporti sociali di mutato genere rispetto a quelli avuti fino ad ora: la festa delle medie, laddove il tripudio della sensazione del pesce fuor d'acqua, l'esultanza dell'ascella purificata, l'acme dell'acne potevano solo essere dimenticati a suon di panini al latte farciti da una fetta di salame più fetta di formaggio più velo di maionese, il tutto irrorato di spuma.
Questo post è per tutti noi, poveri sfigati che non sapevano mai che fare alle feste. Troppo poco alla moda, troppo impacciati, fondamentalmente troppo poco pre-adolescenti per pensare di giocare con la bottiglia. Parlo per me, solo per me, va bene. Io che adesso sembro più giovane di quando avevo 13 anni e che per evitare di mixare i colori uso vestiti neri, io che non sopportavo l'idea di considerare i maschi se non come compagni di squadra (di calcio), io che non riuscivo a capire perché bisognasse ascoltare i Take That, cavoli gli Skunk Anansie erano meglio! E pure gli Smashing Pumpkins! Per non parlare dei Queen...
Anche se, dato che non sono mai stata scevra di pippe mentali, ogni tanto mi chiedevo perché proprio io non riuscissi a divertirmi a quelle feste o perché non dovesse proprio piacermi la musica commerciale...

Ora però fate outing e ditemelo: quanti di voi hanno avuto una storia come quella descritta ne Il tempo delle mele o in Sixsteen Candles - un compleanno da ricordare? Quanti di voi si trovavano sull'altra sponda, quella dei fighi alla moda? Suvvia, nessuna di noi era figa come Sophie Marceau (prego sostituire nell'immaginario un bel giovine col quale i maschietti possano immedesimarsi) e nessuno di noi ha avuto la botta di culo del più figo della scuola che magicamente capisce che la vera bellezza è dentro le persone - affermazione che va di pari passo con "la risposta è dentro di te, epperò è sbagliata". Vi inviterei a immolarvi e regalarmi delle vostre foto d'epoca, ma il mio cuore non reggerebbe (e moriremmo tutti per overdose di acido lattico agli addominali a causa delle risate).
Certo che però anche io me la andavo a cercare, proprio tanto male nella mia comfort zone da sfigata non stavo ed erano ancora lontani i tempi in cui, al grido di "macheccefregamacheccemporta" mi lanciavo in imprese degne degli argonauti alla conquista del vello d'oro. Un ricordo su tutti: festa di fine anno di seconda media, la canzone Gli Anni (dei sopracitati 883) eletta a canzone ricordo della serata e il figo cugino di quello che si era immolato per la causa-festa che mostrava segni di apprezzamento verso la sottoscritta. No, impossibile che uno così, più grande, stia a guardare una come me e a parlare con me. E non sai che fare, e non sai che dire. E non. E no. Respinto.

Insomma, tutta questa manfrina per farvi un po' commuovere pensando ai bei (?) tempi andati e per dirvi che ho provato a cucinare una delle prime cose che mi hanno creato dipendenza qua in Polonia, la salsa all'aglio. Misteri dell'universo: perché la salsa all'aglio greca la digerisco dopo duecento ore e la salsa all'aglio polacca non mi ha mai dato problemi? Misteri, per l'appunto.

Sos czosnkowy - Salsa all'aglio
Ingredienti:
- 2 cucchiai di maionese
- 2 cucchiai di panna (ma io ho usato lo yogurt greco, sodissimo)
- aglio
- pepe nero

In realtà io non ne ho preparata tantissima perché era un esperimento e perché eravamo solo in tre. La regola di base - o meglio, la ricetta per come me l'hanno data - è: tanta maionese quanta panna, aglio a piacimento e pepe nero se lo si vuole aggiungere.
Ed ecco il perché dei miei due cucchiai di maionese e due di yogurt; ho scelto lo yogurt greco per renderla più leggera. Poi ho aggiunto l'aglio. Qui scatta la polemica: non ho uno schiaccia aglio quindi ho preferito usare quello granulare. Pensavo che sarebbe andata peggio, invece no, è stato semplice da dosare e si è amalgamato a dovere. Quindi il pepe nero, ne ho messo giusto un pizzico perché non deve primeggiare.
Ho scelto di servirla su un piatto che è stato - a posteriori - definito "molto polacco", cioè funghi trifolati, patate bollite e uova. Sicuramente proverò a rifarla utilizzando uno schiaccia aglio, anche solo per vedere l'effetto che fa con dell'aglio vero.


sabato 14 luglio 2012

Stette la sfoglia, immemore.

Prendi della premeditazione, prendi un venerdì sera, prendi due amiche e lasciate il tutto a rosolare per alcune ore e a metà cottura aggiungete un pizzico di 9GAG. Va bene, torniamo seri, la realtà dei fatti è che ci mancava la tavola calda - o rosticceria, o i rustici, chiamate queste cose come vi pare - e ci siamo dovute organizzare di conseguenza. Questo parallelepipedo a base quadrata che vedete nella foto qui accanto è una cipollina ed è una delle cose più buone della terra.
Premeditazione dicevo, sì, perché giovedì ho fatto la spesa e ho comprato appositamente anche gli ingredienti per cucinarla, sono il mandante assoluto, anche perché già sapevo che avrei coinvolto una complice.

Ingredienti:
- 2 rotoli di pasta sfoglia
- 1 cipolla grande
- 1 confezione di prosciutto
- 1 confezione di formaggio - io non ho trovato la mozzarella e ho usato il gouda a fette
- salsa di pomodoro
- 1/2 dado
- basilico, timo/origano, pepe nero
- sale 

Innanzitutto tagliate la cipolla grossolanamente, non perché siete pigri o poco precisi, solo perché quando addenterete la cipollina dovrete sentirla sotto ai denti. Fatela stufare in padella con olio e un goccio d'acqua, un po' di sale. Intanto preparate la salsa di pomodoro, soffritto di cipolla o aglio, un paio di foglie di basilico, un pizzico di zucchero o di bicarbonato (io ho aggiunto mezzo dado al posto del sale).
Mentre cipolla e salsa sono sui fornelli, srotolate la pasta sfoglia, tagliatela, se potete, in quadrati di 15 cm di lato. Se, come me, non potete perché invece di preparare la pasta in casa l'avete comprata, fate dei rettangoli 15x30. Adagiate mezza fetta di prosciutto e una fetta di gouda (ma la prossima volta ne metto di più, di più, di più).
La salsa è pronta, viva la salsa! Per la realizzazione di queste cipolline, composte senza ricette ufficiali, abbiamo usato un cucchiaio e un terzo di salsa, ma secondo me la prossima volta potrei addirittura usarne due. Ok, proverò prima con uno e mezzo e vi farò sapere.
 
Adesso aggiungete la cipolla. Non fate le fighette, non lesinate, questo pezzo di tavola calda si chiama cipollina, quindi abbondate (purtroppo due delle tre cipolle che avevo erano da buttare, sennò avreste visto montagne di cipolla, invece ho dovuto lanciare l'applicazione OCD e dividere in 6 parti uguali la cipolla a disposizione). Spruzzate con del pepe neo e del timo. Se avete dell'origano è meglio, ma il timo è un ottimo sostituto.
Accendete il forno 200°. Chiudete la pasta sfoglia recitando il 5 Maggio. Lo so, nessuno ha capito perché ci sia venuto in mente il 5 Maggio il 13 luglio, ma questa cosa ci ha portato alla mente un paio di questioni come "ma tu quando l'hai imparato?", "ma perché ci facevano imparare le poesie a memoria?", "uffa però, mescolo sempre i versi" (il che mi ricorda anche il problema dell'elencare i 7 nani, ne manca sempre uno - provateci). Per chiudere bene i lati esterni ed evitare che il ripieno vaghi allegramente per la leccarda, pensate a Biancaneve quando preparara la crostata. Come quale Biancaneve? Quella della Sdynei. Per fugare ogni dubbio al ripieno su chi sia al comando, prendete anche una forchetta e pressate usando i rebbi.
L'avete acceso il forno, vero? Infornate per 30 minuti. Ah, al 15mo minuto girate di 180° la leccarda.


giovedì 12 luglio 2012

How does it feel...

Come non dedicare il titolo del post al singolo più famoso della band per la quale mi sono addirittura spinta verso un festival? Sissignore, ho visto i New Order dal vivo, ho pagato un biglietto per un intero giorno di festival solo per vedere loro... che poi loro, ovviamente non erano nella formazione originale e il mio cuoricino un po' ha sofferto per questo, ma per una che avrebbe dovuto finalmente vedere i Cure (e me li sono persi di nuovo perché mi venivano un attimo fuori mano) si può dire di poter piangere da un occhio solo, ok?


Bando alle ciance e iniziamo la narrazione di questa esperienza.
Innanzitutto c'è da dire che dal mio punto di vista di italiana - abituata ai festival italiani - ero già stanca al pensiero di raggiungere la location appena ho messo piede fuori dall'ufficio. C'è anche da aggiungere che l'intero pomeriggio di pioggia non mi ha reso nemmeno invogliata più di tanto... Invece è stato tutto molto semplice: arrivi in stazione, ti metti in fila ed entri nel primo autobus - gratuito - disponibile. Trenta minuti dopo giungi a destinazione e ti metti di nuovo in fila per comprare il tuo biglietto: fila per chi deve comprare il biglietto regolare, fila differente per chi desidera quello per l'intero festival, ulteriore fila per chi campeggia. Bene, ora c'è solo da raggiungere la location... cammina cammina cammina cammina e ti rimetti in fila per farti perquisire, poi nuovamente per ottenere il magico braccialetto colorato - peccato che sia tutto scritto in polacco e non sai bene in quale fila metterti, e sbagli, e te ne fai un'altra sperando sia quella giusta (sì, era quella giusta).
Il posto è davvero bello, è tutto organizzato molto bene - puoi pagare coi coupon oppure con la carta - molti stand, molta gente, tutto molto bello.
Se non fosse che sono attorniata da gente strana, giovani, giovani dappertutto, giovani strani dappertutto. Attenzione, non è certo il primo festival a cui vado, però mettiamola così: è il primo festival con generi musicali ad ampio respiro... difatti il pesce fuor d'acqua sono io, o forse sono solo anziana....
Avevo iniziato a notare cose strane già alla stazione. Un pomeriggio di diluvio universale e con temperature non tipiche per un 4 luglio italiano, eppure c'è gente in canottiera, oppure con le scarpe di tela, oppure...
Insomma, vado a vedere il primo gruppo, americani, genere molto variegato, sanno tenere molto bene il palco e mi ritrovo attorniata dai giovani di cui sopra. Sì, sono davvero io quella fuori posto.
La prossima volta farò le seguenti cose:

1- non importa se sono le 21:00, non importa se mi trovo dentro un tendone buio o all'esterno, non importa. Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare, indossiamo gli occhiali da sole, i tempi stanno per cambiare, dobbiamo avere più carisma e sintomatico mistero. Non importa se finisco con le mie scarpe di tela in pozze di fango, tutto questo è molto roccherrolle!


2- non importa nemmeno se ha piovuto tutto il pomeriggio - rendendo giustappunto tutto molto molto molto scivoloso e fangoso - secondo te, Mr. Tamburino, dopo aver pensato per settimane alla mise adatta,  mi posso mica fare intimidire dal meteo? Altro che rimettersi la maglia, io indosserò la canottiera, i pantaloncini però cederò e indosserò gli stivali di gomma. Stile sì, ma pragmatico.


3- dato che sono una ragazza, la mia canottiera sarà molto in tono a quella di una Madonna anni 80 però con su Kurt Cobain, perché ci troviamo comunque in un festival rock. Il che rimane sempre un look da passeggiatrice, ma una passeggiatrice da prospettiva Nesvki.

4- com'è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno mi saltano sui piedi. La prossima volta salterò anche a tempo, assieme a tutti i miei giovani amici hipster. Perché non puoi fare come me e goderti il concerto in disparte, in piedi, senza rompere le palle a nessuno e con le braccia conserte. No. Allora ho deciso di offrire i miei piedi, senza anfibi poi la posta era ancora più alta.


5- però com'è possibile che, mentre sei là totalmente preso dalla musica, sei lì che canti, trasportato totalmente dalle note, ti fermi improvvisamente? Quante stupide galline che si azzuffano per delle foto. Perché sia chiaro, se in Italia sarebbe davvero poco hipster andare all'Heineken Jammin Festival, qua devi assolutamente lasciare traccia. Allora fermiamoci e mettiamoci in posa. 


6- come sopra, sei un tutt'uno col palco eppure, il silenzio del rumore. Ti fermi e inizi a fare video col cellulare. Ma cristo, non si capirà una mazza, cosa pensi di farci con quei video? Il tempo cambierà molte cose nella vita, ma certe cose sono insensate a priori.


Poi mi sono distaccata da quell'orizzonte perduto che era la massa di giovani pieni di energie ed entusiasti e ho fatto una cosa che faccio sempre ai concerti, ovvero cercare il banchetto col merchandise per comprare una maglia. Quella dei New Order, ovviamente. Anche perché dopo avrebbero iniziato a suonare e io avrei dovuto far pulsare il cuore al solito entusiasmo. Se qualcuno mai mi chiederà "cosa hai comprato col primo stipendio?" la risposta sarà: due birre e la maglia dei New Order. 

venerdì 6 luglio 2012

Miss, mia cara miss...

Ho saltato una settimana, chiedo venia ma il velociraptor aveva fagocitato i miei appunti, quindi capirete che di fronte a un evento simile non si possa fare altro... Voglio dire, un velociraptor che non è carnivoro né erbivoro? Un velociraptor? Un?

Ormai è un mese che vivo qua - ah sì, qua, ma dove qua? Sempre Gdynia, nord della Polonia-, e mi sembra corretto tirare le somme ed essere nostalgici, quindi vi parlerò delle cose che mi mancano dell'Italia. Di certo non leggerete "mi manca la mamma", "mi mancano gli amici", "mi manca la pappa". Sono banale e noiosa, ma non così tanto...

1- Internet: ebbene sì, una connessione stabile. Sembra assurdo (lo è), fa tanto dipendenza (lo è, di nuovo), però immaginate di passare voi un mese intero senza connessione, inseguendo ogni rete wi-fi disponibile. La cosa peggiore era non poter ascoltare musica (a parte quella già contenuta nel mio hard disk), guardare serie televisive - e per me che non uso la tv da un pezzo è davvero una tortura, ma anche poter controllare la posta o semplicemente aggiornare il blog in santa pace è davvero una tortura cinese.

rettifica doverosa: ho cambiato appartamento e qui c'è internet.

2- I miei libri. Per quanto possa sembrare assurdo è così. Mi mancano i miei libri. Il problema sarebbe risolvibile con "compratene altri" oppure con "fatteli spedire". Sarebbe, per l'appunto. E no, non leggo un libro al giorno come mi è stato chiesto, semplicemente ci sono alcune situazioni in cui devo avere determinati libri tra le mani (e capirete, senza nemmeno internet non potevo cercare gli ebook, che piuttosto che niente rappresentano almeno un piuttosto). Insomma, mi mancano i miei libri, mi chiedo cosa stiano facendo - suppongo assolutamente niente, chi aprirebbe mai i miei libri?

3- La chiave del bagno. Cosa succede se dopo qualche giorno dal mio arrivo si rompe la chiave del mitico bagno senza finestra? Il panico! Per fortuna siamo arrivati a un accordo: se c'è la luce accesa allora c'è qualcuno (inutile dire che ogni tanto capita di dimenticare la luce accesa).
Dire che mi manca il bidet è ovvio, non tanto perché mi faccio la doccia ogni giorno quanto per il danno causato ai miei capelli... umidità + capello liscio tendente al grasso = capello leccato dalla mucca.

rettifica doverosa nr. 2: nel nuovo appartamento non solo c'è la chiave nella porta del bagno ma anche una finestra.

4- Una cucina attrezzata.
Avete presente com'è vivere in una cucina con ogni tipo di utensile e poi di botto trovarsi in una cucina dove non è il caso nemmeno di appoggiare una forchetta sul ripiano? No? Ebbene, è un incubo. Incubo che però ho risolto inventando una nuova tecnica - la monopan cooking - ma ve ne parlerò a tempo debito.

rettifica doverosa nr. 3: nel nuovo appartamento c'è una cucina grande con tanti utensili, quindi preparatevi perché cucinerò di nuovo.

5- Atomic Food Container. Ovvero: ho comprato un sacco di roba figa e voglio usarla. Di solito ho sempre cucinato sufficienti quantità di cibo in anticipo per poi dovermi limitare a riscaldare. E i miei portapappa atomici sono davvero troppo fighi per essere abbandonati nel mio armadio a Catania. Mi mancano, vorrei poterli mettere nel frigo della cucina del mio piano al lavoro e sprizzare figheria.

6- Maglie. Vi ho già parlato del Casual Friday al lavoro. Ebbene, io non ho vestiti casual da indossare al venerdì. E per me casual vuol dire principalmente magliettone nere con strani loghi di band. Sì, mi manca soprattutto la mia maglia dei Carcass, e dei Coroner, e dei Mayhem e... ok, la smetto. Insomma, mi mancano le mie magliettone. Se qualcuno avesse intenzione di venire a trovarmi che me lo faccia sapere. 

7- I miei anfibi. Andare a un concerto senza gli anfibi non è un'esperienza che avrei mai voluto provare, soprattutto se ha piovuto tutto il giorno, c'è fango dappertutto e intorno a te ci sono solo giovani saltellanti (sì, nel prossimo post parlerò di questa esperienza).
E poi andiamo, sono delle scarpe comode - spargo cuori al pensiero dei miei anfibi.

Passiamo finalmente alla ricetta della settimana (anche se è un mese che non ne propongo una, dovrei postarne 4). La tecnica che illustrerò è  del monopan cooking. In pratica nella disperazione della mancanza di utensili ho comprato una padella, dei piatti e delle posate. Per cucinare quindi dovevo utilizzare l'unica e sola padella. Il piatto non è propriamente polacco, ma sapete come si dice, questo passa il convento.

Riso con verdure e alghe
Ingredienti:
- 200 grammi di riso
- 4 fogli di alga
- 1 dado
- verdure a vostro piacimento
- salsa di soia

Avevo cucinato precedentemente all'incirca 500 grammi di verdure miste da usare come contorno, quindi preparate in anticipo anche voi - mi preme dirvi che, per non mentire spudoratamente, i 500 grammi provenivano da un mix di verdure surgelate prese al Lidl polacco (Biedronka). Prendete la vostra padella e riempitela con acqua sufficiente per 200 grammi di riso e un dado. Lo so, le indicazioni sono veramente poco precise, con la mia padella direi 2/3 di acqua. Quando bolle versate il riso, mescolate di tanto in tanto.


Nel frattempo prendete 4 fogli di alga e tagliateli a listarelle. Se, come me, non avete le forbici allora piegatela e strappatela con le mani. Dopo circa 15 minuti di cottura il riso è pronto, aggiungete le alghe, le verdure e la salsa di soia.

Siccome ho preparato 200 grammi di riso posso dire che ci ho fatto 5 pasti con una sola sessione di monopan cooking.