Genesi del post: un caldo - e umido - sabato polacco, ora di pranzo e coinquilino spignattante. Decido di condividere quello che stavo ascoltando, vale a dire un mix di canzoni dei Roxette. Nonostante l'iniziale, e a mio avviso incredibile, affermazione "no, non conosco i Roxette", quando partono le prime note di "It Must Have Been Love" mi incita ad alzare il volume perché la canzone è bella (la conosce) e perché gli ricorda quei gioiosi momenti in cui, alle feste, scatta il momento del ballo lento al culmine (o per meglio dire, il culmine) del quale le mani scivolano improrogabilmente verso quella massa di adipe e muscolo meglio conosciuta come gluteo femminile.
Momento d'epifania: possibile che tutte - ok, non tutte ma la maggior parte, facciamo un 95% - le canzoni adatte per ballare i lenti, siano in realtà un inno agli amori finiti? La celebrazione degli amori finiti in maniera straziante? L'epinicio dell'agonia provata durante il momento del rifiuto che precede l'accettazione del trauma? Con un tono degno della figlia di Alberto Angela mi chiedo: è mai possibile che tutte queste canzoni che in teoria bisognerebbe ascoltare per lenire le ferite di un cuoricino sanguinante - che se lo vedesse la Pausini ci farebbe un triplo cd - in un momento di post-separazione siano in realtà la chiave dell'avvicinamento tra due esseri umani? Partendo dal presupposto che tutto è Dada e che quindi A è anche non-A, nel dubbio io chiamo la troupe di Superquark.
Addentriamoci nei meandri della memoria, dove noi, figli degli anni 90 cresciuti a suon di film adolescenziali e di racconti di provincia a cura degli 883, iniziavamo a barcamenarci nei rapporti sociali di mutato genere rispetto a quelli avuti fino ad ora: la festa delle medie, laddove il tripudio della sensazione del pesce fuor d'acqua, l'esultanza dell'ascella purificata, l'acme dell'acne potevano solo essere dimenticati a suon di panini al latte farciti da una fetta di salame più fetta di formaggio più velo di maionese, il tutto irrorato di spuma.
Questo post è per tutti noi, poveri sfigati che non sapevano mai che fare alle feste. Troppo poco alla moda, troppo impacciati, fondamentalmente troppo poco pre-adolescenti per pensare di giocare con la bottiglia. Parlo per me, solo per me, va bene. Io che adesso sembro più giovane di quando avevo 13 anni e che per evitare di mixare i colori uso vestiti neri, io che non sopportavo l'idea di considerare i maschi se non come compagni di squadra (di calcio), io che non riuscivo a capire perché bisognasse ascoltare i Take That, cavoli gli Skunk Anansie erano meglio! E pure gli Smashing Pumpkins! Per non parlare dei Queen...
Anche se, dato che non sono mai stata scevra di pippe mentali, ogni tanto mi chiedevo perché proprio io non riuscissi a divertirmi a quelle feste o perché non dovesse proprio piacermi la musica commerciale...
Ora però fate outing e ditemelo: quanti di voi hanno avuto una storia come quella descritta ne Il tempo delle mele o in Sixsteen Candles - un compleanno da ricordare? Quanti di voi si trovavano sull'altra sponda, quella dei fighi alla moda? Suvvia, nessuna di noi era figa come Sophie Marceau (prego sostituire nell'immaginario un bel giovine col quale i maschietti possano immedesimarsi) e nessuno di noi ha avuto la botta di culo del più figo della scuola che magicamente capisce che la vera bellezza è dentro le persone - affermazione che va di pari passo con "la risposta è dentro di te, epperò è sbagliata". Vi inviterei a immolarvi e regalarmi delle vostre foto d'epoca, ma il mio cuore non reggerebbe (e moriremmo tutti per overdose di acido lattico agli addominali a causa delle risate).
Certo che però anche io me la andavo a cercare, proprio tanto male nella mia comfort zone da sfigata non stavo ed erano ancora lontani i tempi in cui, al grido di "macheccefregamacheccemporta" mi lanciavo in imprese degne degli argonauti alla conquista del vello d'oro. Un ricordo su tutti: festa di fine anno di seconda media, la canzone Gli Anni (dei sopracitati 883) eletta a canzone ricordo della serata e il figo cugino di quello che si era immolato per la causa-festa che mostrava segni di apprezzamento verso la sottoscritta. No, impossibile che uno così, più grande, stia a guardare una come me e a parlare con me. E non sai che fare, e non sai che dire. E non. E no. Respinto.
Insomma, tutta questa manfrina per farvi un po' commuovere pensando ai bei (?) tempi andati e per dirvi che ho provato a cucinare una delle prime cose che mi hanno creato dipendenza qua in Polonia, la salsa all'aglio. Misteri dell'universo: perché la salsa all'aglio greca la digerisco dopo duecento ore e la salsa all'aglio polacca non mi ha mai dato problemi? Misteri, per l'appunto.
Sos czosnkowy - Salsa all'aglio
Ingredienti:
- 2 cucchiai di maionese
- 2 cucchiai di panna (ma io ho usato lo yogurt greco, sodissimo)
- aglio
- pepe nero
In realtà io non ne ho preparata tantissima perché era un esperimento e perché eravamo solo in tre. La regola di base - o meglio, la ricetta per come me l'hanno data - è: tanta maionese quanta panna, aglio a piacimento e pepe nero se lo si vuole aggiungere.
Ed ecco il perché dei miei due cucchiai di maionese e due di yogurt; ho scelto lo yogurt greco per renderla più leggera. Poi ho aggiunto l'aglio. Qui scatta la polemica: non ho uno schiaccia aglio quindi ho preferito usare quello granulare. Pensavo che sarebbe andata peggio, invece no, è stato semplice da dosare e si è amalgamato a dovere. Quindi il pepe nero, ne ho messo giusto un pizzico perché non deve primeggiare.
Ho scelto di servirla su un piatto che è stato - a posteriori - definito "molto polacco", cioè funghi trifolati, patate bollite e uova. Sicuramente proverò a rifarla utilizzando uno schiaccia aglio, anche solo per vedere l'effetto che fa con dell'aglio vero.
*_* da fare!! Mi hai fatto morire con i ricordi adolescenziali..:D
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