domenica 29 novembre 2015

Orgasmi

Questa è una notizia vecchia (ottobre 2014, se non ricordo male) ma credo che non abbia ricevuto la dovuta risonanza: secondo uno studio pare che imparare lingue attivi e stimoli le stesse aree del cervello interessate durante gli orgasmi (o l'atto di mangiare cioccolata).

Mentre cercavo gli articoli originali, la stringa di Google mi ha suggerito ben altri risultati, tra cui, tristemente:

- imparare le lingue è difficile
- imparare le lingue è una perdita di tempo

In quanto (fallita) linguista, io mi permetto sonoramente di dissentire e tengo le distanze da tali esseri umani, o fallimenti dell'evoluzione umana che si voglia dire.
Ogni tanto però mi trovo gomito a gomito con questa tipologia di persone e ho imparato che esiste una domanda che mai mai mai e poi mai devi azzardarti a porre. Non è: come va con la dieta? Non è nemmeno: e allora come va con la conta degli ovuli?
La domanda, e non importa da dove vieni, quanti anni hai e che tipo di lavoro fai, è: ma come, vivi in Norvegia da 3 anni e ancora non hai imparato il norvegese? Ma come fai?

Questa domanda non vi porterà sul podio delle loro 3 persone preferite, ve l'assicuro, anzi.

Il bello - e anche il brutto contemporaeamente - della Norvegia, tanto per tornare al discorso principale degli orgasmi, è che tu immigrato puoi anche prendere un C2 in una delle due lingue ufficiali ma non sarà certo abbastanza per poter comunicare in maniera fluida e senza intoppi con qualunque norvegese. Ognuno parla il suo dialetto, qualche dialetto poi ha le sue parole speciali per chiamare oggetti di uso comune (un po' come "bicicletta" tra tedesco e austriaco) ma soprattutto ognuno ha la sua pronuncia per le parole scritte alla stessa maniera.
Seguendo questo ragionamento io dovrei avere una media di 20 orgasmi al giorno; purtroppo la realtà è ben diversa: per quanto io possa amare le lingue, imparare le lingue, studiare le lingue, interessarmi alle isoglosse e compagnia bella, nella vita comune di ogni giorno non posso soffermarmi a lungo su questi aspetti e concentrarmi solo sulla mera funzione comunicativa, quindi non ho tempo per cedere agli orgasmi e devo dire sempre che ho mal di testa.
Questa storia delle pronunce ti aiuta a capire da dove viene la persona con cui stai parlando ma può anche donarti ottimi momenti di imbarazzante silenzio mentre tu, immigrato, computi la richiesta.

Ci sono un paio di differenze che impari subito: a Oslo per negare dicono  ICCHE, a Bergen dicono ISCE, al nord dicono ICCIE. A Oslo per dire "io" dicono IAI, a Bergen dicono EG e a nord dipende, magari dicono EG, magari dicono Æ (una a aperta e lunga) e via dicendo.

Tu immigrato che impari la lingua ufficiale, sui libri troverai parole come "tallerken" - piatto, "kopp" - tazza, "soppel" - spazzatura, poi vai al lavoro e la gente dice "fat", "krus" e "bosse". Certo, poi arriva qualcuno che invece di BOSSE dice BOSHE e capisci che viene dal nord.

Ci sono stati due momenti fino ad ora che mi hanno lasciata perplessa e riguardano ovviamente la pronuncia strana di parole comuni: l'anziana signora che mi chiede se abbiamo CHUPPE (zuppa) invece di SUPPE e l'anziana signora che mi chiede un RUNDSTICCIE ME KVITUST (fondamentalmente una fetta di pane con del formaggio) invece di un RUNDSTICCHE MED VITUST. Ho quasi perso le staffe (mentali) e stavo per sbuffarle a ridere in faccia perché va bene tutto, ma quando è troppo, è troppo.

Crocchette di patate al forno
Ingredienti:
- 50 gr di purè di patate
- 1 uovo
- 80 gr di formaggio
- Farina q.b.
- Pangrattato q.b.
 Cosa fate quando avete in frigo dei rimasugli di nduja (la quale, devo essere onesta, non era tra le migliori, sennò non avrei mai avuto avanzi di nduja), dei rimasugli di ben due buste di purè - preparate in due giorni - che a scaldarle vi viene un poù il magone e un uovo? 
Ma soprattutto, cosa fate se la vostra vita si dibatte perennemente come il famoso pendolo di Schopenhauer, solo che invece tra dolore e noia si trova tra "cosa voglio mangiare oggi" e "quanto ho voglia di impegnarmi in cucina"?
Preparate le crocchette di patate!
Io ho diviso la nduja in quattro polpettine, ho tagliato il formaggio in quattro cubetti - ma non vi dirò quanto BelPaese sia stato sacrificato nella preparazione delle crocchette -, spingendo poi il formaggio dentro la palletta di nduja, e ho cercato di rendere il purè più sodo e lavorabile aggiungendo un uovo e della farina.
Quando leggete le altre ricette e vedete che dicono di lavorare la pasta delle crocchette con le mani umide, vi prego di ascoltare il consiglio, sennò vi trovate con le mani collose e piene di purè.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Dicevo: ho diviso il purè in quattro pallottole, l'ho appiattito e ci ho messo in mezzo la palletta di nduja e formaggio cercando di formare una palletta finale con il ripieno al centro.
Ho infine impanato tutto e disposto su una teglia precedentemente unta d'olio.

Accendete il forno a 180° e infornate per 20 minuti.
Questa è l'unica foto che ho delle crocchette, sono state divorate, mi spiace.
Erano solo quattro crocchette del resto.



lunedì 16 novembre 2015

Suffissi

Che differenza passa tra un suffisso deavverbiale (-ismo > deriva da) e un suffisso nominale deverbale (-azione > indica l'atto che deriva dal verbo)?
La stessa che - guarda caso - passa tra integralismo e integrazione.

No, niente pippotti sulla Fallaci, sui migranti, sugli attentati.
Non ne ho voglia e non ne ho gli strumenti.

La mia polemica nasce piuttosto da fatti osservati nella vita comune: italiani immigrati a tavola con autoctoni del paese dove si sono trasferiti.
Innanzitutto ci tengo a sottolineare che preferisco usare la parola "immigrato" rispetto a "espatriato", perché, se non lo sapete, di solito noi europei caucasici figli dell'occidente (pleonasmi, lo so, ma volevo tanto evidenziare la cosa) quando lasciamo la nostra patria e ci trasferiamo altrove, preferiamo chiamarci "espatriati"; probabilmente immigrato suona male alle nostre orecchie caucasiche anche perché gli immigrati mica siamo noi. No.
Ci sono gli altri immigrati, quelli più olivastri, meno occidentali, di minore radice cristiana.
Non vorrete mica confondere noi europei figli della democrazia di matrice greca con il resto del mondo, vero?
Sarebbe vergognoso. Sarebbe scandaloso.
Invece no, siamo immigrati come tutti gli altri - l'unica differenza è che noi non possiamo chiedere asilo (anche se dopo il titolo di Libero sui fatti di Parigi ritengo debba essere mio diritto il poter richiedere asilo). 

Dicevo, italiani immigrati. Italiani immigrati a tavola. Mi tornano in mente le nozioni imparate per un esame di geografia riguardante il multiculturalismo soft e hard; tra i vari esempi di multuculturalismo soft c'era ad esempio la voglia di mangiare kebab senza preoccuparsi di andare a frugare nelle radici culturali del popolo che porta il kebab: in altre parole una sorta di fascinazione verso l'esotico e apertura verso un mix di culture ma non apertura tale da mettere in discussione le nostre tradizioni e aggiustare di conseguenza diritti e doveri del portatore sano di kebab.
L'italiano una volta trasferito, se da un lato ci tiene tanto a voler condividere e spargere la sua conoscenza ed esperienza culinaria nel mondo - e si aspetta apertura mentale dal ricevente - dall'altro lato è testardo come un mulo.
Ci sono cascata anche io, che credete. Riesco ad accettare la mancanza del pranzo, la colazione salata e l'insalata come contorno della pasta/lasagna nello stesso piatto, ma spesso è capitato di chiedermi "cosa cucino a fare se poi...":

- preparo un risotto e poi ci metti su la sweet chili sauce
- preparo le bruschette e vi adagi sopra l'hamburger e mangi tutto assieme
- preparo un risotto al brie e mi chiedi dove sia la carne
- preparo un risotto come contorno alle scaloppine ai funghi e tu posizioni la scaloppina sul riso

Inizio a pensare che il problema sia il concetto di risotto.
Dal canto mio non ho avuto grossi problemi di integrazione, ho anzi ampliato le mie prospettive, però di fronte a determinate cose anche io mi blocco, costruisco un muro e dico no. Ho mangiato messicano usando la zucchina al posto della carne e sfumandola col succo di ananas, ho mangiato pasta cotta nel latte, ho trovato ananas sulla pizza, nel cibo indiano ma mai nei dolci o nei gelati, però ditemi voi se mangiare le crêpes dolci per cena, con o senza bacon ma sicuramente con zucchero o marmellata, sia una cosa normale.

Arancini
Ingredienti:
- avanzi di risotto
- pangrattato
- 1 uovo
- formaggio 
Ammetto di aver preparato apposta più risotto del dovuto ma non avevo premeditato la preparazione degli arancini. Di solito preparo in abbondanza così da poter avere del cibo per la pausa al lavoro il giorno dopo, solo che stavolta ho calcolato male i tempi ed avendo un giorno libero ho dovuto riutilizzare il riso in maniera tale che il norgico non si lamentasse (a quanto pare è illegale mangiare due giorni di fila lo stesso piatto).
Accendete il forno a 180°, così mentre giocate col riso - che si sa, abbonda sulle mani degli sciocchi - si scalda a sufficienza.
Ho diviso su un piatto il riso in otto spicchi (odio ritrovarmi con arancini di diverse dimensioni perché mi sono regolata male coi palmi) e, dopo aver preso ogni spicchio, l'ho schiacciato leggermente e ho messo al centro un pezzo di formaggio. Qualsiasi formaggio va bene, la cosa importante è che si sciolga.
chiudete la mano e appallottolate bene il riso, prestando attenzione al pezzo di formaggio e pressando il più possibile. 
Ora provate a immaginare un'operazione simile fatta senza dover fotografare ogni singolo passaggio. Fatto? Ci vogliono due minuti in tutto. Dopo provate a immaginare me che faccio avanti e indietro per lavare le mani ad ogni passaggio per poter scattare la foto.

Di solito si procede con la doppia panatura, ma io non avevo voglia o tempo - vedi il passaggio foto, lavare la mani, appallottolare, lavare mani, foto -, né li avrei fritti, quindi li ho solo rigirati nell'uovo sbattuto - ricordate il sale e il pepe nell'uovo - e successivamente nel pangrattato - nuovamente, ricordate sale e pepe. 

Disponete gli arancini sulla carta forno e
irrorateli di olio, infornateli per circa 30 minuti,
rigirandoli con estrema cura dopo 15.
In tutte le ricette che ho letto dicono sempre di aspettare finché la panatura non sia dorata e bla bla bla.
Io avevo fame, 30 minuti sono sufficienti, li ho sfornati e ho aspettato che si intiepidissero prima di addentarli.
E poi diciamocela tutta: se avessi avuto voglia di arancini veri con la A maiuscola, avrei preparato tutto con cura e seguendo la ricetta originale, risotto allo zafferano, doppia panatura, li avrei fritti invece di cuocerli al forno. Invece no. Sono venuti buoni lo stesso. Certo, la parte divertente è arrivata l'indomani al lavoro quando ho dovuto spiegare cosa fossero, come li chiamiamo noi e come avrei potuto tradurre il tutto in norvegese (letteralmente ho detto che erano palle di riso e che noi le chiamiamo piccole arance: paura, sgomento, terrore e fascinazione tra gli astanti).



domenica 1 novembre 2015

La Repubblica delle Banane

Ho sognato di scrivere questo post mesi fa (e con sognato non intendo sogno premonitore, intendo proprio il "oh come vorrei poter scrivere ma ogni volta che premo cinque tasti il monitor si spegne"); ho sognato di scriverlo ogni volta in cui io abbia ricevuto input negativi dall'Italia e che mi abbiano fatto subito pensare a questo esatto titolo: dal collage di foto su facebook con la dicitura "è stato un anno meraviglioso, grazie per averlo reso tale" dopo avervi visto inveire contro chiunque; ogni volta che - nel 2014 - venissero compiuti passi verso un vero stato laico (l'infermiera che nega la pillola del giorno dopo e viene licenziata); ogni volta in cui credete, spinti dalla frustrazione, a qualsiasi cosa che vi piaccia credere, solo perché sui quotidiani - quando in realtà non credete mai ai quotidiani (Schettino docente, vi ricorda niente?); ogni volta che ve la prendete coi produttori di piumini ma quando avete freddo che fate? Chiedete alle oche se gentilmente vi cedono il piumaggio o chiedete il permesso alle pecore per farsi tosare oppure morite di freddo nei vostri vestiti sintetici?
E così via.
Ma non l'ho potuto fare, sapete perché?
Purtroppo sono circa tre anni che il cavetto tra il monitor e la tastiera non funziona bene, e la visuale passa da leggero sfarfallio a oscurità più buia, durante l'ultimo anno poi sono stata capace di utilizzarlo solo e solamente qualora il monitor fosse posizionato in una inclinazione di determinati gradi, rendendo così l'utilizzo stesso del laptop impossibile fuori casa o in qualunque altro posto che non fosse il tavolo e il poggia-laptop (che non funzionasse bene era solo un eufemismo, ogni tanto il monitor si spegneva nonostante l'inclinazione fosse corretta ma era sufficiente premere i tasti - e la p bisognava premerla con forza - per creare scompensi al cavo). 
In una situazione del genere capite bene che non avessi voglia di arrabbiarmi ogni due secondi col povero laptop.
Mi chiedevo quindi, come calcolare gli anni dei pc, perché mi sembra evidente che un anno umano non corrisponde assolutamente a un anno computatorio: ho comprato il laptop nel marzo/aprile 2009 ed è sopravvissuto senza intoppi - se ignoriamo ovviamente il cavetto di alimentazione - fino all'ottobre 2015. Forse si calcola l'età come coi cani? Oppure devo segarlo a metà e contare le smagliature della scheda madre per conoscerne l'età effettiva?
Per non farmi mancare nulla, ho cambiato cellulare a febbraio e le foto usate oggi erano rimaste intrappolate lì dentro. Cellulare malfunzionante più laptop malfunzionante rendono la sottoscritta  una ragazza noiosa (semicitazione da The Shining).
Avrò tempo di recuperare sulle mirabolanti avventure in terra scandinava, intanto vi beccate la ricetta senza filtro e senza inganno (perché se pensate che mi metta qua a inserire le foto nel nuovo cellulare per giocarci con gli effetti per poi riutilizzarle sul pc dopo averle passate dal vecchio cellulare, siete pazzi, più pazzi di me).

Banana Bread
Ingredienti:
- 3/4 banane
- 2 uova
- 120 grammi di burro
- 120 grammi di zucchero
- 200 grammi di farina
- cannella, q.b.
- 1 pizzico di sale
- 1 bustina di lievito
- succo di limone q.b. (facoltativo)


Avete delle banane molto mature, forse troppo mature, a tratti marroncine e nessuno vuole mangiarle?
Schiacciatene la polpa e annaffiatele con qualche goccia di succo di limone; questo serve a non farle ossidare, ma sono già marroni, non mi preoccuperei più di tanto dell'effetto che può avere l'ossigeno.
Io ho usato il comodissimo schiacciapatate ma una fochetta è sufficiente; se vi sentite particolarmente frustrati e siete arrabbiati potete anche schiacciarle a mani nude! Prendi questo, banana malefica!

Dopo esservi accaniti sul cadavere delle banane, passate agli altri ingredienti.
Che il burro non creda di essere esente dalla vostra furia vendicativa.
Innanzitutto lasciate il burro in un angolo e ignoratelo, questo lo farà impazzire, specialmente quando inizierà a sudare. 

Quando lo vedrete sufficientemente ammorbidito montatelo con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso (io ho usato zucchero di canna perché ero in possesso dello zucchero di canna, ma va bene anche lo zucchero bianco per torturare, solo che in quel caso eviterete le accuse di razzismo da KKK).  A questo punto il burro si sentirà sufficientemente al sicuro ma non è finita qui: rompete le uova e unite le loro interiora al composto con un pizzico di sale. Incorporate le banane schiacciate e amalgamate bene il tutto. Adesso cambiate strumento di tortura: afferrate il colino-vergine di ferro e setacciate gli ingredienti secchi nell'impasto, sempre mescolando. Insaporite infine con la cannella - la quantità di cannella è personale ma io consiglio almeno mezzo cucchiaino.

Accendete il forno - 180°C - e imburrate coi resti del panetto uno stampo da plumcake, infarinatelo e infornate il tutto per circa 60 minuti. Per controllare a che punto siete con la cottura infilzerete la vittima con uno stecchino da involtini.

Consiglio di servire il banana bread tiepido, ma potete anche scaldarlo nel tostapane.
Io ci ho messo su dei mirtilli che evidentemente si sentivano radioattivi, perché altrimenti non si spiegherebbe questo aspetto estremamente luminoso in foto.


Ps: io con l'impasto del banana bread ho anche preparato dei muffin e potete aggiungervi gocce di cioccolata o uvetta.